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Come funzionano le echo chamber nei social network

Post-verità è una delle parole più usate in questi anni. Nell’era della post-verità le opinioni si fondano su ciò che è percepito come vero.

La percezione, il punto di vista, è la chiave per leggere il mondo. I mistificatoricontemporanei non si limitano a confezionare notizie false. Sono molto più che semplici comunicatori, sono dei demiurghi: danno vita a dei mondi all’interno dei quali ciò che è una palese falsità viene percepita come vera e condivisa milioni di volte, perché chi abita quel mondo ha lo stesso punto di vista di chi lo costruisce. Aspetta solo delle conferme di ciò che già pensa. È il fenomeno delle bolle ideologiche o echo chamber, stanze dell’eco in cui i contenuti risuonano per assonanza e similarità con chi li fruisce.

All’interno della bolla le convinzioni errate si rafforzano, non ci sono dati controfattuali, non c’è confronto dialettico tra posizioni diverse, c’è solo la sottoscrizione della linea di pensiero che accomuna i membri della bolla. Sono le nuove forme di costruzione del consenso. È così che la Gran Bretagna ha votato la Brexit, sulla base di post che hanno alimentato il sentimento anti europeo sulle bacheche di milioni di persone, come ben evidenziato dalla cronista dell’Observer Carole Cadwalladr, ed è così che ormai si svolgono tutte le campagne elettorali.

Ma com’è possibile che nessuno si accorga mai di nulla mentre tutto questo accade? La posizione dei social network è estremamente controversa, stretti tra la chiara esigenza di non perdere utenti e la responsabilità della diffusione di un’informazione sempre più inquinata. Pochi giorni fa Facebook ha chiuso 23 pagine che diffondevano contenuti falsi su mediapoliticavaccini e altri temi sensibili raggiungendo una platea di 2,4 milioni di persone. Queste pagine erano principalmente di sostegno a Movimento 5 Stelle Lega, e in diversi casi contavano più follower dei contesti ufficiali. L’intervento del social network è arrivato dopo le indagini condotte da un’associazione no profitAvaast, che ha segnalato i contenuti sospetti.

Facebook ha preso una posizione rimuovendo le pagine, ma resta il fatto che si è mosso su segnalazione. Segnalazione esterna su contenuti di sua proprietà. Aspetto che di per sé fa già sorgere molti dubbi. Ma di tutta questa vicenda un tema molto interessante è la genesi di questi contenuti. Quando sono state create, molte pagine non avevano nulla a che fare con la politica o con i temi su cui poi hanno invece prodotto una massiccia disinformazione. I titoli e i contenuti postati all’interno riguardavano altro. Una delle pagine incriminate, a sostegno di Salvini, era inizialmente nata come pagina di un’associazione di allevatori. Un’altra pagina molto attiva e seguita – I valori della vita, con 1,5 milioni di fan – non aveva apparentemente niente a che fare con la politica, presentandosi come generica pagina di modi di vivere e invece faceva parte di una rete che condivideva più volte al giorno i contenuti del sito di news di disinformazioneacchiappa-click di destra Leggilo.org.

In questi casi individuare tempestivamente e bloccare i contenuti fake è molto più difficile, perché si diffondono in contesti apparentemente insospettabili. Si basano su una vera e propria mimetica del falso, una messa in scena totale del contesto di conversazione. Ciò che nella pratica avviene è che queste pagine attirano visitatori utilizzando l’esca di temi da loro condivisibili per altri motivi, incrociando magari un target che si sa già essere predisposto a certe derive ideologiche, ma poi iniziano a fare disinformazione sugli argomenti che sono il loro vero bersaglio.

I contenuti distorti vengono lanciati all’improvviso, colpendo a sorpresa, ma con forza, un pubblico che ha tutte le carte in regola per assorbirli e a sua volta rilanciarli (e qui siamo all’ormai annosa questione sugli usi più o meno leciti dei dati di profilazione degli utenti). Nel momento in cui il contenuto diventa virale, si esce allo scoperto, si cambia il nome alla pagina per raggiungere il più ampio numero di persone possibili. Nel racconto di Carole Cadwalladr, che per la sua inchiesta sulla Brexit si era recata nella sua cittadina d’origine in Galles, Ebbw Vale, dove si era registrata la percentuale più alta di voti (62%) per uscire dall’Europa, una delle immagini che colpisce di più è quella di un giovane ragazzo che, davanti all’ultra moderno centro sportivo costruito principalmente grazie a fondi europei, dice alla giornalista: «Ho votato per uscire, perché l’Europa non ha mai fatto niente per noi».

Ripeteva a pappagallo ciò che aveva visto circolare su Facebook, anche se clamorosamente smentito dalla sua realtà quotidiana, la sua città, in cui tante modernissime opere sono state costruite accedendo a finanziamenti europei. E con lui migliaia di abitanti di Ebbw Vale, la cittadina che ha voluto più di tutte che l’Inghilterra uscisse dall’Europa. Siamo davanti a un totale sovvertimento della realtà, in cui la mimesi del falso risulta più vera di ciò che si ha ogni giorno davanti agli occhi. Il “Coleg Gwent” a Ebbw Vale, l’istituto superiore da 33 milioni di sterline, finanziato principalmente dall’Unione europea, nella cittadina del Galles che ha votato di più per uscire dall’Europa.

Andrea Barchiesi

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