Il futuro è privato, annuncia l’inventore di #Facebook. Crisi etica o mercato che cambia? Di certo il social vuole potenziare i gruppi e introdurre una sua valuta.
La mia analisi su Prima Comunicazione di giugno 2019.
Alcune affermazioni lasciano il segno. Altre la platea attonita. Quella di Zuckerberg, durante la conferenza annuale degli sviluppatori di Facebook, riesce a fare entrambe le cose. Ha dichiarato: “Il futuro è privato”. Il colosso che ha portato tutti a condividere pubblicamente la propria vita, fatto a cui deve la sua fortuna, oggi, con una giravolta sorprendente, dichiara di immaginare un futuro privato. Superato lo stupore potrebbero sorgere tre domande: perché un cambio così potente anziché una progressiva curvatura? Come intende farlo senza rompere la formidabile macchina da ricavi? Può davvero un social network diventare un fatto privato? Partendo dalla prima, Facebook viene da una serie di problemi in tema di sicurezza e privacy che hanno messo l’azienda al centro di delicate riflessioni sul ruolo dei social network nella società, nello svolgimento della vita democratica, e hanno portato il suo fondatore a riferire di fronte al Senato Usa. Zuckerberg lo dice chiaramente: “So che non abbiamo la migliore reputazione sulla privacy, ma abbiamo iniziato un nuovo capitolo”. Questa redenzione improvvisa quindi e una diretta conseguenza di una serie di episodi molto gravi che potrebbero creare azioni legali e governative contro la piattaforma. La velocità è essenziale poiché non saranno perdonati molti altri errori. La seconda questione è come pensano di farlo. Facebook intende sviluppare le community, i gruppi chiusi all’interno della piattaforma, che attualmente sono utilizzati da 400 milioni di persone su un totale di 2,38 miliardi di utenti attivi. Il 17% dei suoi utenti comunica privatamente sul suo social, e Zuckerberg vuole seguire questa tendenza presentando “un nuovo design più semplice e che mette proprio le comunità al centro”.
Questa idea non nasce oggi. L’occhio sul privato l’aveva già buttato a ottobre 2018 quando dichiarava che “il più grande competitor di Facebook Messenger è iMessage di Apple”, l’app di Cupertino che sta volando insieme all’aumento di vendite di iPhone e che ha fatto perdere quote di mercato alla chat di Facebook. Senza considerare il successo di Telegram, app russa da sempre molto attenta alla privacy (oppose “il gran rifiuto” al Cremlino che le chiedeva i dati degli utenti per controllo politico), o dei social come Snapchat, che hanno accolto migliaia di giovanissimi in fuga da Facebook per non farsi “spiare” dai genitori. Parlando proprio di Snapchat, la sua particolarità, che è probabilmente anche una delle chiavi del suo successo, è che i contenuti si autodistruggono, e dopo un po’ di tempo che sono stati creati scompaiono per sempre. Una caratteristica che in qualche modo fa percepire all’utente una maggiore illusione di tutela della propria privacy. Forse non è un caso allora che uno dei principi delineati da Zuckerberg per questo “futuro privato” sia la riduzione del tempo in cui la società conserva i dati. Non parlerei quindi di crisi etica ma di riscatto reputazionale, riconquista della fiducia degli utenti dopo gli scandali e, soprattutto, inseguimento di un mercato che evolve. Per tutte queste ragioni nella nuova versione di Facebook ci sarà una bacheca dedicata solo ai gruppi, e in generale tutte le app di Facebook (WhatsApp, Messenger, Instagram) si concentreranno su “messaggi privati, storie, piccoli gruppi, pagamenti sicuri”. Attenzione: “pagamenti sicuri”, avete letto bene. Facebook sta lavorando a una sua criptovaluta e intende sviluppare il suo e-commerce su WhatsApp (in India già sperimentato con grande successo), Messenger, Instagram (in Italia già stanno provando alcuni brand). Sono quindi pronti ad aprire un altro fronte e un altro cambio di paradigma. Apple del resto sta già muovendo i suoi passi da tempo. Forse UniCredit ha riflettuto anche su questo nel suo recente (e clamoroso) abbandono di Facebook. Passiamo alla terza domanda: può diventare privato un social? Da quanto detto è chiaro che l’affermazione “Il futuro è privato” è a effetto, ma il termine non sembra corretto, forse sarebbe da sostituire con “per un ristretto numero di utenti”, che è molto diverso. Non potrà essere un diario privato inaccessibile a tutti (dove venderebbero la pubblicità? Gli utenti senza pubblico sarebbero poi attivi?). Al massimo, quindi, confidenze sussurrate a decine o centinaia di persone. Questa accezione di privato non elimina il rischio sulla privacy, lo riduce. Nemmeno molto. Quanti casi protetti nel “segreto” di una chat sono diventati cronaca? Uno dei più recenti è quello della deputata cinquestelle Giulia Sarti che, già coinvolta nello scandalo rimborsi, è diventata oggetto di cvberbullismo con suoi video hot che circolavano all’interno di chat di giornalisti e parlamentari. Tirando le conclusioni, non è certo che il futuro sarà privato, ma di certo andava detto.