La mia analisi per Prima Comunicazione di febbraio è dedicata al Coronavirus e ai meccanismi di diffusione del contagio in Rete.
Un’epidemia nuova, per cui non esiste ancora un vaccino, ha colpito migliaia di persone nel mondo, è arrivata anche in Italia, dove ha registrato diverse vittime e vari casi di contagio importante. Non sto parlando del Coronavirus, ma dell’isteria collettiva che si è scatenata, specialmente nel nostro Paese. Siamo di fronte alla prima epidemia social, un fenomeno del tutto nuovo, da studiare con attenzione.
Gli indicatori di percezione sono del tutto fuori parametro, portando ad una polarizzazione dell’immaginario quasi totale. Non si era mai manifestata prima d’ora una tale intensità. Si è creata una crisi multiforme che interseca importanti asset quali le istituzioni, i media, la scienza, il ruolo degli esperti e perfino dei non esperti che a vario titolo, ma soprattutto senza titolo, hanno sentito il bisogno di dire la loro, influenzando chi li segue.
Per capire la portata di questa “pandemia social” è interessante rapportare due grandezze eterogenee: il fatto e le reazioni al fatto stesso. In Italia i casi di contagio da Coronavirus e i contenuti online relativi prodotti hanno un rapporto di 1 a 3.000. Nel mondo lo stesso rapporto è 1 a 200 (quindici volte più piccolo). Uno scenario, definito da alcuni “infodemia”, in cui ci troviamo di fronte ad una produzione continua e fuori controllo di informazioni che reiterano h24 lo stesso mix multiforme e disomogeneo di messaggi che sono allo stesso tempo veri e falsi: gli stessi dati, le stesse paure, le stesse minimizzazioni, le stesse raccomandazioni, gli stessi consigli, le stesse pontificazioni, a reti unificate tra giornali, tv, social, chat, in forma di testi, video, immagini, audio. Come si è arrivati a tutto questo?
Credo che per spiegare un fenomeno così complesso dobbiamo, solo per un istante lo giuro, far ricorso alla fisica. Esistono processi di autoinduzione in cui più fattori innescano una reazione circolare che cresce fino a divergere (in genere il sistema esplode per essere chiari). La centrale di Cernobyl è saltata in questo modo. Le news hanno dato inizio alla reazione, TV e stampa le hanno giustamente riportate, i social media hanno cominciato a reagire stimolando ulteriori contenuti TV, la stampa ha alzato il tiro, i social di conseguenza hanno elevato la portata. Subentrano i talk, dapprima generalisti poi monotematici. La TV accresce ulteriormente lo spazio dedicato, accorre quindi la politica inserendo altra energia nel sistema. Nei social la polarizzazione sale a livelli mai misurati. Utenti scandiscono il bollettino medico ogni ora. Entrano nel sistema migliaia di fake news. Questo è un fenomeno di autoinduzione circolare. Mentre i casi reali crescono in modo moderato la percezione cresce in modo esponenziale.
Tutto ciò porta ad uno scollamento enorme e chiaramente è la percezione che guida le nostre azioni, non la realtà. I risvolti sono assolutamente concreti: supermercati svuotati, piazze deserte, metropolitane che viaggiano a vuoto. Amuchina più cara del caviale. Borse a picco. L’induzione circolare una volta scatenata è imprevedibile e spalanca le porte all’irrazionalità a volte anche al ridicolo: un meme ironico ha associato il virus alla nota marca di birra Corona, questo ha colpito l’azienda che è stata costretta a diramare una nota in cui spiega che non c’è legame tra la sua birra e il virus. Non è finita: la Constellation Brands Inc (l’azienda che produce la birra messicana nei 50 stati che compongono la federazione americana) ha perso l’8% alla borsa di New York in una settimana. Dovrebbe far riflettere chi pensa che la soluzione alle fake news sia educare la popolazione.
Veniamo ad un punto chiave: l’autoinduzione circolare può essere fermata? Sì, ma va spezzata la sua circolarità invertendo il segno di uno o più degli attori. In pratica bisogna agire sugli attori “controllabili”, in questo caso la Stampa e la TV. Questi ultimi sono tra i principali colpevoli del livello raggiunto, hanno agito in modo irresponsabile ignorando le possibili conseguenze. I media che hanno giocato sull’allarmismo parlando di “quarantena del Nord”, di “strage”, hanno seminato il panico. Ora tentano di chiudere i cancelli con titoli rassicuranti e appelli alla calma. Ma i buoi ormai sono già in Australia. L’immagine internazionale dell’Italia ha subito un danno sistemico in settori chiave come il turismo. Il mondo oggi è strettamente connesso. L’insano gesto del Governatore Fontana, di indossare la mascherina in diretta Facebook, il giorno dopo era già icona internazionale, con 79.000 contenuti online nel mondo, cresciuti del 24% nel corso della giornata, di cui 20,5 mila immagini di quel fotogramma. La pandemia social ha effetti concreti. Assoturismo Confesercenti ci dice che a una settimana dall’allarme in Italia, si è registrata una perdita di 200 milioni di euro per le prenotazioni annullate. Non si scherza con la pandemia social.