L’app Immuni nasce per un fine sanitario di primaria importanza e chiede per questo un potenziale sacrificio sulla privacy. Tutto ciò avrebbe dovuto aprire il vaso di pandora dei dati sulla persona acquisiti dalle app ma, incredibilmente, è finita da sola nel banco degli imputati. Un atteggiamento quantomeno bipolare.
La mia analisi per Prima Comunicazione di maggio:
Diamo un’occhiata a questo mondo: nel 2019 sono state scaricate 200 miliardi di app. Gli utenti hanno speso in totale 120 miliardi di dollari per i download, di cui il 72% per app di gaming. Lo racconta il rapporto di App Annie, si parla di 26 nuove applicazioni in media per persona, senza contare le re-installazioni o gli aggiornamenti e il dato è in crescita del 35% rispetto all’anno precedente. Il mercato del mobile diventa una miniera d’oro, con i titoli delle compagnie del settore che schizzano vertiginosamente. Non facciamo altro che scaricare app per giocare, insomma. E anche i social non sono da meno su questo proficuo terreno. Ricorderete, solo pochi mesi fa, l’esplosione dell’app per invecchiarsi su Facebook, le nostre bacheche diventavano improvvisamente piene di vecchie versioni di noi stessi, compiaciute e divertite. Una moda cavalcata anche da moltissime celebrities. Dieci anni fa eravamo tutti farmer che coltivavano il proprio orticello virtuale, poi siamo diventati cacciatori di pokemon e oggi saltiamo da una challenge all’altra come bambini annoiati, condividendo senza sosta video, foto di noi, delle nostre case, delle nostre attivià. In mezzo a queste fasi siamo passati, nel 2018, attraverso il più grande scandalo sull’utilizzo dei dati personali, Cambridge Analytica, al quale è seguita una nuova normativa europea sul trattamento dei dati. Ne dovremmo aver capito la forza e l’importanza ma la lezione è stata appresa solo dalle istituzioni che affannosamente sono corse come potevano ai ripari.
Siamo consapevoli in tutto questo circo che stiamo costantemente svendendo la nostra privacy? In una App, come in ogni software, ci sono due piani, uno esplicito sul cosa fa (mi invecchia, quale personaggio della divina commedia sarei stato, chi sarebbe il compagno/a ideale) e uno implicito su cosa accade nel suo codice sotto la superficie. In quello implicito è molto difficile guardare ma sappiamo che può accedere a tutti i dati del nostro profilo. Un indizio che dovrebbe far scattare ai più un segnale di allarme potrebbe essere la domanda: perché qualcuno deve investire per creare una app gratuita che mi dice che verdura sarei? In realtà mi faccio molte più domande su chi sente questo bisogno profondo di associarsi ad un vegetale ma mi rispondo che la natura procede per tentativi. Forse le è un po’ sfuggita la mano ultimamente. Tornando alla app che ci vegetalizza dov’è il guadagno? Quando non si vede vuol dire che il guadagno siamo noi. I nostri dati. La differenza è che non ce ne accorgiamo.
In finanza come nella fisica c’è un vecchio adagio: non esistono pasti gratis. Sarebbe bene tenerlo a mente. Gli sviluppatori di queste app sono spesso russi o cinesi. Altro campanello di allarme ma solo per orecchie più attente. Il dibattito attorno Immuni è oggi furioso. I tecnici hanno giustamente alzato l’attenzione su aspetti che potrebbero mettere a rischio la privacy, come la centralizzazione degli id (identificativi) degli utenti su server che generandoli potevano anche potenzialmente rivelare le identità corrispondenti. Il Governo ha quindi deciso di modificare l’app adottando il modello decentralizzato di Google ed Apple, ovvero con id anonimi generati dai cellulari che se li scambiano nel momento in cui entrano in contatto via bluetooth e ogni cellulare tiene la lista dei contatti anonimi che ha avuto. Nel momento in cui c’è un caso di coronavirus il paziente può caricare la sua lista di contatti anonimi su server, che manda a tutti gli smartphone dotati di app la lista dei codici. Se l’app riconosce il proprio in quella lista manda una notifica all’utente, avvertendolo di essere stato in contatto con un contagiato. Una differenza sostanziale rispetto a un unico luogo in cui vengono generati tutti i codici, insieme alle chiavi di accesso che aprono al rischio di identificazione dell’utente. Obiezioni di estremo dettaglio tecnico alla portata di pochissimi.
Ne emerge quindi un approccio bipolare alla privacy, pronti da un alto a battaglie in nome della libertà gridando alla sorveglianza di stato e a modelli orwelliani e dall’altro a cedere ogni giorno i nostri dati volontariamente con grande leggerezza e inconsapevolezza. Bersani direbbe che c’è una mucca nel corridoio. Consiglio agli sviluppatori di Immuni di mimetizzare la loro app in “ti diciamo quali verdure sono vicino a te”, sicuramente avrebbero una larga e felice partecipazione e nessuna discussione sulla privacy.