Contare solo i follower è una metrica primitiva. Per avere testimonial credibili, le aziende devono misurarne qualità e valori. La mia rubrica per Prima Comunicazione di ottobre.
Gli influencer sono un fenomeno relativamente nuovo ed in quanto tale c’è ancora molta confusione su come misurarne il valore. Nell’euforia generale non si va tanto per il sottile e si fa di tutta l’erba un fascio: l’importante è prendersi un influencer che abbia molto seguito, non importa se poi lo ha perché mostra addominali o glutei scolpiti, prodezze sportive o legge libri. Leggere libri l’ho messo solo per illuderci un po’. I tanti follower tuttavia non fanno l’influencer, né tantomeno bastano per vendere un prodotto. Le prime a cascarci sono le aziende, che spesso scelgono di farsi rappresentare da un testimonial social in base al numero di seguaci che questo può vantare, fermandosi quindi ad un qualcosa che non dice nulla dei valori o della tipologia di interazione che il soggetto porta.
Partiamo dal peccato originale: i follower possono essere una metrica seria? No, per cinque ragioni fondamentali. Primo: il fatto che una persona sia un mio follower, non significa che vedrà ciò che scrivo. Il termine stesso suggerisce, furbescamente, che l’utente mi segua e quindi veda ciò che scrivo ma non è così. Significa solo che “potrebbe” vedermi con un condizionale che nella gran parte dei casi diventa molto, molto ipotetico. Ciò che vediamo su Instagram e sui social in generale non è tutto ma quello che pubblicano le persone che seguiamo ma una selezione basata su un algoritmo. È “lui” che sceglie cosa mostrare all’utente in relazione a fattori come le interazioni recenti e il tempo speso su quel profilo. Questo per essere pratici riduce notevolmente i soggetti realmente raggiunti da un messaggio. In pratica i milioni di follower sbandierati a volte diventano in realtà centinaia.
Secondo: i follower si possono anche comprare al supermercato. Vi dice nulla Mirko Scarcella, il (finto) guru che vantava consulenze anche per Donald Trump e si faceva pagare milioni in cambio di bot? Grandi numeri social non garantiscono un seguito reale e fedele, proprio perché la Rete è piena di aziende che vendono finti follower. Con cifre modeste se ne possono portare a casa migliaia: inutile osservare che i finti follower non compreranno mai prodotti ne saranno di alcuna utilità.
Terzo fattore: seguire una persona non è sinonimo di apprezzamento. Prendete il caso di “Angela da Mondello”, la signora diventata famosa per un’intervista virale “non ce n’è di coviddi” dalle spiagge della Sicilia: sbarcata su Instagram, anche grazie alle sue apparizioni in tv, ha raccolto migliaia di fan in poche ore. Il suo profilo però era pieno di critiche e insulti. Ci sono molti presunti influencer che raccolgono più sberleffi che elogi. Chiaramente questo non viene misurato nelle banali metriche dei follower per ragioni molto semplici, da un lato rovinare molte galline dalle uova d’oro e dall’altro perché è molto più facile fare una analisi superficiale di una complessa.
E qui veniamo al quarto: le interazioni reali. Quante sono? Di che qualità? Basse interazioni e alti follower significa che non ti vede realmente nessuno e non scateni nessuna emozione. Vedo molti profili roboanti nei numeri e molto deboli nella pratica. E se le interazioni sono deboli tenete sempre conto che la ricaduta sul brand è una frazione percentile di queste ultime.
Quinto: i valori. Che cosa racconta il nostro influencer? Tra un post e l’altro cambia solo il vestito? È importante considerare i messaggi nella loro totalità per comprendere cosa davvero comunicano, quali valori trasferiscono. Di recente mi incuriosisce il caso dei Ferragnez, sono stati proposti per ricevere il premio grazie alla raccolta fondi cui hanno dato vita durante il lockdown. E a ottobre sono stati chiamati dal premier Conte in persona per sensibilizzare i giovani all’uso della mascherina. Stanno coniugando influenza e valori.
Ora però provate a pensare il contrario: affidereste il vostro marchio a una star di YouTube che sfrutta il suicidio di un uomo per guadagnare in visualizzazioni? È successo nel 2017 con Logan Paul, artista con 22 milioni di follower solo su YouTube che si è imbattuto in un cadavere e ha usato l’episodio per un proprio video, scatenando proteste social in tutto il mondo. Oppure: ha senso che una onlus benefica affidi la propria campagna promozionale a un personaggio come Gianluca Vacchi, che spende le proprie giornate a ballare in barca e nella sua lussuosa casa? No, eppure, stiamo parlando di almeno 20 milioni di follower per ognuno di questi personaggi. È necessario eliminare queste metriche ottuse e passare ad un concetto più avanzato che tenga conto della qualità e dei valori. Le aziende stanno virando verso la sostenibilità, dovrebbero essere privilegiati gli influencer “sostenibili”, quelli che portano anche dei valori, a scapito di quelli che portano il vuoto assoluto e i comportamenti asociali.