Il nuovo ruolo dei CEO e sei regole per non farsi trovare impreparati: la nostra riflessione nella rubrica mensile su Prima Comunicazione. Proviamo un esercizio, per alcuni versi acrobatico: nominate dieci leader politici contemporanei, senza cercare le risposte nel passato. Ho detto leader, non semplici politici. Immagino non ne restino molti. È un effetto del nostro tempo, lo svuotamento della leadership politica e la conseguente mancanza di punti di riferimento. La società è liquida e come in ogni liquido il vuoto non resta a lungo, qualcosa va subito a chiuderlo. Non sempre purtroppo è qualcosa di meglio. In questo contesto c’è una grande opportunità e una grande trasformazione in corso.
I CEO possono e devono evolvere la loro funzione, riempire il vuoto ed assolvere ad uno scopo sociale. Oltreoceano sta già accadendo, la Silicon Valley ha da tempo fatto da apripista e mostrato un cambio di modello per i propri CEO, sempre più attivi nei temi del sociale. Pensate al tema della sostenibilità, ma non solo. Alcuni lo fanno con consapevolezza, altri improvvisano, c’è chi ne abusa e poi si trova ad affrontarne le conseguenze.
È il nuovo volto dei top manager: il CEO activism. Questo mutamento non deriva da una improvvisa trovata di marketing ma parte da un profondo ripensamento del modello economico, è un processo di lenta presa di coscienza. Progressivamente si sta facendo largo l’idea che il brand non debba solo far profitti ma debba avere uno scopo all’interno del tessuto in cui opera. Sembrano poche parole messe lì ma è un cambio di paradigma enorme. L’azienda deve essere abilitata dalla società civile ad operare e il profitto da solo non giustifica più questa abilitazione. Entra quindi in gioco il purpose, lo scopo. Se l’azienda deve mutare in modo importante la sua mission necessariamente il suo CEO deve cambiare ruolo e stabilire la connessione umana con la società civile. Lui in persona. Non può essere l’azienda a suon di comunicati stampa, serve un rapporto vero, di dialogo, basato su azioni concrete e autenticità. Brian Moynihan, a capo di Bank of America, premiato come miglior CEO del 2020 afferma: «Il nostro ruolo come CEO ora include anche guidare la transizione verso ciò che crediamo giusto». Parole non proprio dell’ultimo fricchettone.
La pandemia ha dapprima frenato (ubi maior) e poi accelerato questo processo: lontani dai propri clienti e stakeholder, brand e top manager hanno preso posizione, i migliori hanno rassicurato andando oltre i loro canonici mandati. Il caso Black Lives Matter ce lo ricordiamo tutti. Centinaia di leader hanno sposato le rivendicazioni del movimento, esponendosi e prendendo parte alle proteste. Altri invece, dopo dichiarazioni infelici, hanno dovuto lasciare il proprio incarico: è il caso del CEO di Crossfit Greg Glassman, per citarne uno («Non siamo in lutto per George Floyd? Perché dovremmo esserlo se non perché è la cosa da fare da bianchi», ha detto).
Giorgio Armani solo pochi mesi fa ha detto “Le donne oggi sono regolarmente stuprate dagli stilisti, e mi ci metto anch’io”, aprendo un dibattito sul ruolo del corpo femminile nella moda. Parole che dimostrano la crescente attenzione dei CEO verso temi che, fino a poco tempo fa, erano fuori dal loro radar. Il filo conduttore è chiaro. I rischi forse meno, non ci si improvvisa super CEO, abbracciare scopi sociali può risultare pericoloso. Il CEO di Twitter Jack Dorsey due anni fa è stato sommerso da critiche e accuse di “indufobia”. All’origine del disappunto c’era una foto che lo ritraeva con alcune attiviste indiane mentre stringeva un cartello con la scritta “Distruggiamo il patriarcato braminico”, in riferimento alla più alta casta della società induista. Una foto che gli costò anche l’accusa di incitare alla violenza.
Come diventare un CEO illuminato senza incappare in gravi errori? Non è facile, bisogna seguire sei regole fondamentali. Prima regola: progressività. Non si può pensare di diventare un paladino delle cause sociali da un giorno all’altro. Si rischiano gravi errori di sensibilità. Seconda regola è la prossimità, scegliere con cura i temi da trattare, partendo da quelli più vicini al business specifico. Terzo l’autenticità, il CEO deve realmente sentire le tematiche scelte. Le finzioni sono percepite e punite duramente. Quarto la coerenza. L’attivismo del CEO non può fare a pugni con dichiarazioni precedenti o con eventi che hanno minato la reputazione personale e aziendale proprio su quell’argomento. L’infinita memoria digitale è implacabile in questo. Quinta regola: analisi. Va analizzata la percezione che la società civile ha del CEO e su questa va studiata la pianificazione. Sesta regola, valutare bene le azioni su scala temporale, ciò che oggi è accettabile domani potrebbe non esserlo. Essere un CEO illuminato può essere difficile, non è per tutti, oggi è sicuramente differenziante, credo che a breve sarà semplicemente necessario.