Bloccando l’account di Trump i social media hanno ammesso di fronte al mondo di non essere neutrali. Questo può cambiare tutto. La mia rubrica per Prima Comunicazione di febbraio.
La storia si manifesta attraverso punti di rottura anche se in realtà agisce in modo continuo, ogni giorno, in silenzio. A volte ce ne accorgiamo solo quando avvengono degli strappi. Perché lo strappo fa rumore e tutti si voltano. Il 7 gennaio 2021 Twitter sospende l’account di Trump.
Questo fatto che potrebbe sembrare secondario rispetto all’assalto a Capitol Hill, tanto grave quanto grottesco, credo avrà conseguenze sistemiche di ben più ampia portata. I social media hanno inesorabilmente assunto un ruolo primario nella vita politica e culturale dei paesi, sono un crocevia primario dove maturano pulsioni, tensioni, aspirazioni e movimenti. Questa consacrazione è venuta dal basso, a lungo colpevolmente non percepita dalle istituzioni, impreparate a cogliere un fenomeno così distante dalla loro mentalità fatta di tv e giornali. Mai riconosciuta dai social media stessi consapevoli che anche la minima ammissione avrebbe scatenato reazioni scomposte dei governi con esiti per loro nefasti. Nefasti solo nella migliore delle ipotesi.
Questo equilibrio instabile, quasi teatrale, è venuto improvvisamente meno: per la prima volta, delle piattaforme social private hanno bloccato l’account di un leader mondiale. Non di uno qualsiasi ma del più importante nonché padrone di casa. L’accusa è di aver violato le policy delle piattaforme e aver incitato alla violenza. Non è stata una decisione presa a cuor leggero, immagino il peso del momento e la consapevolezza di cosa significasse davvero.
Perché lo hanno fatto proprio ora e in modo così roboante? Non c’era davvero occasione peggiore. La risposta che vedo circolare è che non potevano tacere di fronte a quello che stava accadendo, insomma un problema di coscienza. Credo sia stato tutto molto più complesso e molto meno nobile. Negli scacchi vi è una situazione che viene definita Zugzwang, parola tedesca che incute già di suo timore, significa essere obbligati a muovere ed avere solo pessime mosse a disposizione. Twitter si è trovato proprio così, se non fossero intervenuti su Trump il nuovo presidente Biden poco dopo li avrebbe depotenziati, commissariati e processati. Decidete voi l’ordine delle cose. Se fossero intervenuti avrebbero invece decretato la fine della finzione dietro cui si sono celati per anni “Noi siamo un tubo non siamo responsabili di ciò che passa nel nostro canale”. Da leggere con rigorosa cantilena. Capitol Hill li ha costretti allo Zugzwang e hanno dovuto scegliere il male minore, seppur gravoso. Questione di sopravvivenza. Lo strappo è avvenuto ma i tempi erano ormai maturi e le istituzioni premevano sempre più.
In ogni caso il 7 gennaio 2021 i social media hanno passato il Rubicone. E non si può tornare indietro. Infatti ora nell’opinione pubblica circola una domanda: Può un social network decidere chi può parlare e chi no? Questa domanda può scuotere dalle fondamenta i social network. E lo sapevano, per questo hanno cercato in ogni modo di non arrivarci. Proviamo a mettere ordine poiché non è facile rispondere. Anzitutto i social network sono enti privati. Quando apriamo un account firmiamo l’equivalente di un contratto di utilizzo che quasi nessuno ha mai letto. E chi l’ha letto è in genere quello che nelle riunioni di condominio tedia tutti su ogni punto. Non so cosa sia peggio. Quindi tecnicamente si, in violazione delle loro policy, e l’accento è su “loro”, possono chiudere senza appello qualsiasi account. È il “grande inganno” del gratis: se non paghi nulla il prodotto sei tu. C’è un però, stiamo parlando non di forum di nicchia sull’ornitologia ma di piattaforme che hanno raggiunto una valenza pubblica. Questo cambia la questione, non è pensabile che un ente privato per di più sovranazionale definisca che cosa è giusto o sbagliato in modo del tutto arbitrario. Russia e Cina hanno risolto a modo loro la questione, creando o favorendo campioni nazionali.
La soluzione che credo più corretta è arrivare ad una sorta di garante pubblico per la comunicazione social che dia le regole, che vigili sul loro rispetto e che sanzioni a vari livelli i comportamenti non in linea. Che esista una licenza per operare con regole chiare. Questo garante avrebbe dovuto sospendere molto prima l’account di Trump e quello di altri politici che incitano all’odio, alla violenza e diffondono false informazioni. Ma questo implica responsabilizzare i social sui comportamenti all’interno del loro canale e renderne conto. Implica problemi legali: chi risponde di eventuali reati? chi ha creato il contenuto o la piattaforma che lo diffonde? Inoltre mettere regole e controlli implica generare fughe di massa verso canali ancora nel far west. Leggasi Tik Tok.
In ogni caso entriamo in una fase nuova e incerta che cambierà la comunicazione di massa e impatterà le democrazie. Alea iacta est.
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