Il silenzio è un’ottima soluzione di discontinuità ma tende rapidamente ad essere percepito come distacco. Cinque punti per evitarlo. La mia rubrica per Prima Comunicazione di marzo.
Il 2021 è cominciato con un premier senza social. Se ce lo avessero annunciato anche solo qualche mese fa, non ci avremmo creduto. Ed ecco Mario Draghi e il suo silenzio che si estende a macchia d’olio su tutto il governo. Va detto che è anzitutto un tratto identitario. Negli effetti però rivela anche una fine strategia di comunicazione, un po’ come quel The Young Pope che si nascondeva ai fedeli per accrescere la loro fede, con tutti i distinguo del caso. Anche il silenzio è comunicazione, soprattutto dopo la confusione.
Una prima indicazione arriva proprio dall’analisi della Rete: le citazioni online del premier sono in caduta libera. Dal 17 febbraio, giorno in cui con il suo discorso programmatico al Senato ha raggiunto l’ultimo grande picco di attenzione, sono calate del 67%. Ecco quindi il primo ‘paradosso’ di questo di questo Governo: il Presidente del Consiglio era molto più al centro dei media prima di assumere l’incarico. Nelle settimane successive al suo insediamento assistiamo ad un processo di dissolvimento. Un segnale indicativo. Quella di Draghi appare come una strategia di netta discontinuità per smarcarsi dai precedenti governi.
Gli italiani ancora ricordano le infinite attese prima delle conferenze stampa in diretta di Giuseppe Conte: appuntamenti live che generavano picchi di traffico superiori a quelli di tanti influencer. Uno schema, Dpcm-diretta Facebook, al quale non sono state risparmiate critiche. La scelta di Draghi in tal senso risulta quasi necessaria. Un diverso stile è fondamentale per imporre un cambio di passo. È una logica, a ben vedere, molto corporate. Un altro elemento di cesura netta rispetto al passato: il neo Presidente del consiglio ha scelto, per curare la propria immagine, professionisti di comunicazione classica istituzionale.
Siamo passati dall’ex Grande Fratello Rocco Casalino che lavorava per Conte, all’ex Banca d’Italia Paola Ansuini per Draghi. Dinamiche della tv, dei social e dei reality da una parte, comunicati stampa e relazioni istituzionali dall’altra. Quindi è finita la centralità dei social nella politica? A chi in queste settimane me lo ha chiesto, ho sempre risposto: no, sono solo cambiati gli attori. Mario Draghi appartiene ad un’altra generazione, altra tipologia e forma culturale e indipendentemente da tutto il social network è anche un abito che ti deve stare addosso. La sensazione è che la scelta di Draghi influenzerà un certo understatement, imponendo un taglio più manageriale.
I social network resteranno comunque primari nella politica poiché interagire direttamente in tempo reale con una oceanica piazza digitale è nell’essenza stessa della politica. Draghi, con tutto il rispetto, dovrebbe fare però attenzione, il silenzio è una ottima strategia di rottura, inadatta però a diventare strategia portante soprattutto durante le crisi tende a trasformarsi facilmente in distacco. Il silenzio esteso ha un ulteriore importante difetto: non comunicare significa lasciare la narrazione di sé agli altri. Lo scrivevo anni fa nel mio libro titolato appunto La tentazione dell’oblio: “Aspirare all’oblio, all’agire sottotraccia non solo oggi non è più possibile ma non è neppure auspicabile”.
La parola con la quale molti descrivono lo stile del governo Draghi è sobrietà. Ma sobrietà non significa necessariamente silenzio, soprattutto se sei alla guida di un Paese. I cambiamenti in atto nella società vanno infatti verso un modello di leadership sempre più attivo, attento ai grandi temi del presente e alla relazione. I rischi del silenzio sono tangibili, quelli di una comunicazione sfrenata altrettanto.
Come coniugare sobrietà e comunicazione? Primo: scegliere il proprio stile, cucendolo su misura come se fosse un abito. Il rischio di snaturarsi e apparire fuori luogo è altissimo (vedi Monti e il barboncino). Secondo: approccio analitico. Oggi il mondo è fluido, serve una comunicazione adattativa nei toni e nelle modalità. Senza analisi è come mandare una lettera senza destinatario. Terzo: progressività nell’adozione, come in auto, non si passa dalla prima alla quarta. Quarto: non ignorare i social network. Piuttosto va trovata una formula adatta, più asciutta e informativa. La pandemia ha addirittura accresciuto il ruolo dei social, non possono essere lasciati fuori. Quinto: relazione, va costruita con il proprio pubblico. La crisi richiede non solo decisione ma anche dialogo, soprattutto se si chiedono sacrifici. Alcuni retroscena riportano che il premier abbia dichiarato “Noi comunichiamo quello che facciamo” ma siamo sicuri che poi verrà capito correttamente?
Anni di lavoro nell’analisi dei dati mi dicono che è spesso una speranza disattesa. Per questo il silenzio deve evolvere.
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