Gli ultimi conflitti rendono evidente che siamo di fronte a una nuova forma di guerra, che in realtà è nuova solo nelle modalità, perché la propaganda è sempre esistita. In questa intervista con Eleonora Lorusso di La Ragione abbiamo approfondito l’evolversi della guerra in Ucraina e delle dinamiche che contraddistinguono questo e altri conflitti moderni.
In questi anni, abbiamo visto l’emergere fortissimo della guerra reputazionale: nel caso del conflitto ucraino, l’immagine dei due contendenti, Zelensky e Putin, ha un’importanza nodale, in quanto può influire sul sostegno offerto dagli alleati. Quindi, in questo caso come non mai, l’immagine è importantissima, perché se Zelensky è l’aggredito, il “portatore” di alcuni valori, allora il mondo occidentale lo sosterrà con la sua tecnologia e l’opinione pubblica potrà sostenere queste decisioni.
C’è in atto una guerra d’immagine sin dal minuto zero e Zelensky è molto abile nel gestire la sua immagine e la sua comunicazione. Ha fin da subito evitato di porsi come un politico della torre d’avorio – contrariamente a Putin, che è sempre in giacca e cravatta in stanze ordinate e ampie – “preferendo” invece ambienti stretti e claustrofobici e un maglione o una maglia militare. I due leader mostrano già nel frame un antagonismo visivo.
La comunicazione di Putin è differente e ha generato messaggi diversi da quelli che lui, probabilmente, voleva trasmettere. Putin si presenta sempre da solo e, invece di veicolare l’idea di un leader solido e solo al comando, in Occidente è apparso come isolato, perplesso e indeciso. Questa comunicazione ha avuto quindi due risvolti differenti del mondo filorusso e in quello occidentale.
Se studiamo gli sforzi enormi che sono stati fatti anche nella definizione della guerra stessa, si capisce quanto l’immagine sia tutto. La Russia continua a difendere fortemente il termine “operazione militare speciale”, perché, se si trattasse di una guerra, sarebbe una guerra di aggressione ed è chiaro che ciò, all’interno dell’opinione pubblica russa avrebbe generato dei problemi. Allo stesso modo, all’inizio, il Governo sosteneva che l’intervento non era contro la popolazione, ma contro gli asset militari da denazificare.
Le guerre di comunicazione si combattono oltre il confine, proprio perché si sviluppano su internet. Quanto ci vuole, per esempio, ad aprire degli account sui social e stabilire relazioni con soggetti italiani e inondare la rete di comunicazioni e contenuti? Si può fare benissimo e da qualsiasi nazione. Questo tipo di guerra non ha bisogno della prossimità fisica, è molto più sottile.
Dobbiamo distinguere due fasi. La prima è quella dell’innesco, in cui vengono creati degli account che iniziano a essere attivi sui social, e la seconda è quella della ripresa, nella quale diversi soggetti – alcuni anche in buona fede – propagano (condividendo e viralizzando) queste informazioni. E ciò non vale solo per la guerra: altri temi sensibili in rete includono la salute e l’energia, soprattutto adesso che si assiste a un dibattito crescente sul tema del nucleare.
L’intervista completa nel video:
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