Per chi vuole posizionarsi nel mondo del lavoro, la reputazione è tutto. Il silenzio significa irrilevanza. I manager e i professionisti in genere devono imparare ad agire come un brand, fare una propria comunicazione rispondente a interessi professionali specifici. Attenzione a non cadere nella trappola del pensare che alcuni canali siano privati e altri professionali. È un’ingenuità. Tutto è visibile e quindi tutto è professionale e come tale anche nel privato va mantenuta una coerenza e una forma adeguata. Sempre.
Inoltre, ci sono tre regole per creare una buona reputazione: continuità, continuità e continuità. Insomma, la palestra del primo gennaio non serve a nulla.
I contenuti online esistono nello stesso momento, il presente si mescola con il passato e il rapporto tra reputazione digitale e recruiting è totale. È esattamente nei canali tradizionalmente visti come ‘privati’ che andranno a guardare per scoprire il lato autentico dei professionisti. Il curriculum è sulla via del tramonto per tante ragioni, non ultima il fatto che consente di ‘mentire’ in modo mirato in base a chi viene mandato. La visione pubblica, invece, è sotto gli occhi di tutti e non ci si può inventare nulla: costruite il vostro brand in modo coerente e autentico.
La reputazione è una forma di percezione ed è più importante della realtà, poiché è sulla percezione che facciamo le nostre scelte. La reputazione ha una ‘massa’ e questa, come in fisica, è in grado di attrarre. Una sorta di gravitazione reputazionale: in pratica, una buona reputazione attrae verso di noi. Una cattiva reputazione è invece una massa negativa, e respinge. Più la massa è grande, più esercita attrazione o repulsione.
Il “purché se ne parli” che genera reputazione è una sciocchezza colossale. Come nella campagna di Armando Testa “Open to meraviglia” la cui giustificazione è stata “abbiamo creato un dibattito”. Non hai creato un dibattito, ti hanno insultato in modo corale ed è molto diverso.
Ho trattato del tema reputazionale in un’intervista con La Sicilia: