Le grandi aziende tecnologiche in mezzo alla guerra fredda tra Usa (che vuole chiudere TikTok sul territorio americano) e Pechino (che limita l’operato di Apple). E L’Europa osserva, fra timori e necessità.
I dati sono il nuovo petrolio, chi li controlla ottiene potere. Lo hanno capito bene i governi, che negli ultimi anni stanno lottando strenuamente per la sovranità tecnologica e digitale.
Fino a qualche tempo fa la parte dei cattivi in questa battaglia sembrava essere giocata esclusivamente dalle big tech, sempre al centro del fuoco incrociato di questo o quel governo, a cominciare dagli stessi Usa. In primis per quanto riguarda il monopolio sul mercato e la concorrenza sleale, fino ad arrivare ai temi legati alla circolazione incontrollata dei dati e a questioni di sicurezza nazionale. Pensiamo, ad esempio, all’attenzione alzata da Usa e Ue sui social network, a colpi di convocazioni di Zuckerberg & co al Congresso e nuove normative per regolamentarli.
Progressivamente, in un contesto geopolitico difficilissimo, questa lotta si è spostata ed è divenuta sempre più affare tra Stati. La Cina è stata la prima a muoversi sullo scacchiere, da ormai più di dieci anni procede, in netta contrapposizione agli Usa, per avere prima di tutto il controllo totale sulla tecnologia utilizzata nel Paese e in secondo luogo per imporsi internazionalmente. Favorisce infatti l’ascesa di colossi nazionali come Alibaba, Tencent, Huawei ma mira a conquistare fette sempre più larghe del mercato globale. Per rendersi sempre più indipendente dagli States il governo cinese ha emanato, già nel 2022, il ‘Documento 79’ che impone alle aziende di proprietà statale, nei settori finanziario, energetico e altri, di sostituire i software stranieri nei loro sistemi It entro il 2027.
I passi si stanno già compiendo a gran velocità. Secondo quanto riferito dal Financial Times a fine marzo, la Cina ha già introdotto linee guida per eliminare gradualmente i microprocessori statunitensi Intel e Amd da pc e server governativi. Del resto, nell’ottobre 2023, era stata proprio l’amministrazione Biden attraverso il Dipartimento del commercio Usa ad annunciare nuove restrizioni di vendita alla Cina di chip utilizzati per la produzione di dispositivi basati sull’AI. E intanto il governo di Pechino ha chiesto ad Apple di rimuovere WhatsApp e Threads dagli iPhone cinesi per un tema di sicurezza nazionale.
È a tutti gli effetti una deglobalizzazione, un neo sovranismo tecnologico che ha ragioni chiare: per un regime come la Cina c’è un tema fondante di sorveglianza, controllo delle informazioni, censura e stretta sociale. Nemmeno le big tech locali possono sfuggire a questa regola, contro il governo centrale si può solo capitolare.
Questa politica molto netta dà comunque i suoi frutti, e ora anche gli Usa devono difendersi dall’avanzata nel loro territorio e in quello europeo delle tech company cinesi. La lotta è a molti livelli, ora non è più solo sulla sicurezza ma anche di leadership tecnologica, commerciale e sulla competitività. Se le infrastrutture critiche dipendono dalle tecnologie straniere è praticamente come consegnare le chiavi di casa.
Le big tech da imprese diventano sempre più asset primari per combattere questa guerra fredda. Pensiamo ad esempio a TikTok: attraverso un recente disegno di legge, dall’eloquente denominazione “Protecting Americans from Foreign Adversary Controlled Applications Act”, gli Usa impongono alla cinese ByteDance di vendere TikTok entro sei mesi se vuole che l’app rimanga ancora disponibile sul territorio statunitense. Il braccio di ferro si preannuncia durissimo: il ceo di TikTok ha prontamente reagito con un video appello rivolto agli utenti americani per esortarli a “proteggere i propri diritti costituzionali e far sentire la propria voce”. Ironico da parte loro questo appello alla democrazia, in Cina non ci sarebbe alcun dibattito.
E l’Europa? Come sempre fa fatica a giocare attivamente la partita, tra l’impossibilità di competere con la potenza americana, restando quindi inevitabilmente in posizione gregaria, e il tentativo di ridefinire il delicato rapporto con la Cina, da cui dipende ma che rappresenta anche una fonte di rischi. Ursula von der Leven nel 2023 ha iniziato a dettare le linee guida ai Paesi membri all’insegna del de-risking, per limitare alcuni scambi commerciali con la Cina che potrebbero mettere a rischio la sicurezza nazionale. La presidente della Commissione Ue ha anche proposto di introdurre un fondo per la sovranità digitale per “permettere che il futuro dell’industria sia fatto in Europa”. Se consideriamo poi la grande partita dell’AI, dal punto di vista sociale, economico e di sicurezza, che vede affacciarsi economie emergenti come l’India e alcuni Paesi medioorientali come l’Arabia Saudita, la partita si fa sempre più complicata. Il ritorno del sovranismo evoca scenari di contrapposizione. E raramente è una buona notizia.
Articolo pubblicato su Prima Comunicazione