Organizzazioni e leader comunicano sempre più su temi sociali, ma spesso è proprio questo il terreno su cui scivola la loro reputazione.
La S nell’acronimo ESG (Environmental, Social, Governance), rappresenta la dimensione sociale che secondo i 17 obiettivi di sostenibilità stabiliti dall’ONU deve entrare, al pari delle altre due (ambiente e governance), nell’impegno delle organizzazioni per costruire un mondo più sostenibile. Inclusione, diversity, sono parole che spesso leggiamo nei comunicati stampa e sui siti aziendali, perché, al pari degli aspetti che riguardano la tutela ambientale e la governance, devono essere rendicontati.
Ma non è solo questa la ragione. È il mondo che è cambiato, la reattività dell’opinione pubblica rispetto a queste tematiche è molto più veloce e potente rispetto al passato. E da chi gioca un ruolo chiave nella società ci si aspetta che sia in fase con il cambiamento in atto, non può essere altrimenti.
Per capire questa relazione, tra la reputazione e i macro-eventi che scuotono la società, è necessario introdurre un nuovo concetto. Il dibattito attuale è spesso centrato sui leader (“Meloni sbaglia questo”, “Salvini quest’altro”), ciò implicitamente pone l’assunto che siano solo le loro azioni a determinarne il destino. Ritengo si sottovaluti un altro attore che ha spesso un ruolo primario: lo spirito del tempo, chiamiamolo per ora semplicisticamente così, su cui il leader opera. È un insieme complesso di flussi di percezioni che costituiscono “l’anima della società”, le sue paure, le sue speranze e aspirazioni.
Proviamo a rappresentare ogni flusso con un vettore, quindi con una direzione e una intensità. Questi rappresentano le correnti di percezione. Per fare un esempio il tema immigrazione è uno di questi, ha una direzione che è il sentimento dominante (il rifiuto in questo caso) e una intensità (alta). Un leader che provi a cavalcare vettori ad alta intensità in modo inverso (contrario alla direzione) è destinato a forte perdita di consenso. Alcuni partiti sono campioni del mondo in questa pratica autolesionista.
A questo punto c’è un passaggio cruciale su cui molti leader e opinionisti scivolano inconsapevolmente: queste correnti non sono fisse ma variano nel tempo (la sensibilità sul tema immigrazione o sul riscaldamento globale varia, il secondo è in fortissima ascesa negli ultimi anni). Guardando al caso concreto, se consideriamo ad esempio Matteo Salvini, vediamo come abbia mostrato una leadership dinamica nella fase in cui ha abbandonato vettori non vincenti (“Prima il nord”) per abbracciare vettori emergenti in intensità (“Immigrazione”). In quella fase ha abbracciato lo spirito del tempo. Nella fase attuale al contrario sembra essere passato a una modalità fissa, tuttora legato agli stessi argomenti che hanno perso di intensità inviluppandosi senza uscirne, a beneficio della crescita di altri leader come Giuseppe Conte in una prima fase e successivamente Giorgia Meloni. Tempi e modi di abbracciare le correnti che scorrono nella società incidono sulla reputazione.
Le correnti sono quindi degli spazi tematici ad alta intensità. Sono un flusso di percezione all’interno della società, l’immissione di grandi quantità di nuovi contenuti su un tema. Una corrente può essere rappresentata da una quantità di nuovi punti che si estendono con forza su piani temporali progressivi. Se la quantità è crescente siamo di fronte a correnti montanti e siamo in grado di calcolare il loro coefficiente di rafforzamento. Un po’ come nel meteo con le tempeste. Se la quantità è stabile siamo di fronte ad una corrente stazionaria, fenomeni abbastanza rari poiché richiederebbero uno stimolo costante, cosa infrequente nelle dinamiche sociali. Se in riduzione abbiamo correnti decrescenti, sono fenomeni in spegnimento o in fase momentaneamente calante. Ad esempio, nella fase Covid si è avuto un fenomeno di attenzione totalizzante sulle dinamiche dell’epidemia e una riduzione massiccia di tutte le altre correnti. Quella ambientalista in quella fase si è improvvisamente ridotta ai minimi termini, le conversazioni sono diventate molto sporadiche, quasi quanto quelle della Poiana Calzata. Vi sono dei casi in cui la corrente per quanto potente si sia poi arrestata, per varie ragioni, queste sono dette correnti inattive. Un ulteriore tipo è la corrente a pulsazione ovvero un flusso che oscilla nel tempo, un esempio tipico può essere la percezione della sicurezza nelle città. Al sorgere di casi o di serie di casi si genera una crescita della corrente che poi decade nelle fasi di mancata attenzione mediatica. Questa ultima tipologia è tipica dei fenomeni rilevanti di crisi, che si riaccende periodicamente per correlazione o altri inneschi. Monitorare i flussi per disegnare una mappa delle correnti costituisce un grande vantaggio competitivo per la comunicazione.
In questo momento il tema della diversity rappresenta una corrente crescente. Questioni di genere, fenomeni di molestie e discriminazioni in ambienti di lavoro sono al centro del dibattito. Dai brand ci si aspetta una presa di posizione sempre più marcata e anche il CEO è sempre più chiamato a essere voce attiva, a entrare nell’arena. Allo stesso tempo questa esposizione, se non correttamente gestita, può diventare un nervo scoperto, nel momento in cui in quest’area si palesano delle criticità e ci si ritrova improvvisamente a navigare contro-corrente. I social come sempre sono il termometro della febbre che sale. I temi non hanno tutti la stessa forza e in questo momento quelli che toccano le questioni di genere sono tra i più esplosivi. Il #metoo, l’aumento dei casi di violenza nei confronti delle donne che sconvolgono l’opinione pubblica, hanno contribuito a creare una coscienza social(e) fortissima.
Unitamente a questo, un’altra premessa fondamentale è che oggi le mura dell’azienda sono di cristallo. Perfino quelle della Chiesa lo sono. Basti pensare a quanto accaduto di recente con le dichiarazioni di Papa Francesco. Prima gli omosessuali, il giorno dopo le donne. Il Pontefice, convinto di parlare a porte chiuse, si è ritrovato in men che non si dica su tutti i giornali del mondo per le frasi sessiste, costretto a chiedere scusa.
Se il tribunale social non risparmia neanche il Papa, possiamo immaginare cosa possa accadere a chi è ai vertici di aziende e altre istituzioni. Non è necessario neanche un grande sforzo di immaginazione, i casi di cronaca negli ultimi anni si sono moltiplicati. Frasi che trapelano, testimonianze anonime di comportamenti scorretti all’interno dell’azienda, sollevano un’onda mediatica con effetto immediato sulla reputazione. Non è necessario attendere indagini, processi, quando trapelano queste cose, vere o false che siano, la reputazione è intaccata. Ed è intaccata tanto più se le accuse arrivano sul capo di chi fino a un minuto prima aveva indossato la medaglia della responsabilità sociale, parlando a convegni, rilasciando interviste, ritirando premi. È facilissimo immaginarsi i titoli dei giornali il giorno dopo.
Come abbiamo detto però non esporsi non è un’opzione, se non parliamo, gli altri lo faranno per noi. E noi non avremo comunque il controllo. Che fare dunque? Innanzitutto, la prima regola è monitorare: chi guida deve essere il primo a controllare e avere contezza dell’effettivo clima in azienda, specie su dinamiche così sensibili. Non si può poi dire “non lo sapevo”, come invece si sente spesso affermare, quando si tratta di molestie, comportamenti vessatori e che ledono i diritti delle persone che lavorano per te. E qui torniamo all’aspetto della Governance, altro tassello fondamentale della partita sostenibilità. Ci deve essere trasparenza a tutti i livelli della filiera. Lo scarico di responsabilità ai ruoli inferiori o lungo la catena di appalti – e ne leggiamo ogni giorno – è qualcosa che non mette più al riparo la reputazione del nome di chi sta al vertice. È quel nome che – anche e soprattutto agli occhi dell’opinione pubblica – è responsabile, anche di controllare cosa succede ai piani inferiori.
La reputazione è sempre sistemica, ciò che colpisce un punto del sistema si riverbera su tutti i livelli. La seconda regola, sembra banale dirlo eppure molti non lo hanno ancora capito, è la coerenza: prima di esporsi nel teorizzare il cambiamento è necessario viverlo, metterlo in pratica nella propria realtà. Guidare attraverso l’esempio, questo costruirà uno scudo e nel momento in cui ci saranno attacchi strumentali, ci sarà anche una realtà pronta a testimoniare il contrario. Diversamente, se c’è incoerenza, questa può diventare una potenziale sleeping bomb, pronta a deflagrare al primo inciampo. E a questo punto è anche giusto che sia così. Di conseguenza la terza regola è autenticità. Dovrebbe essere chiaro che si tratta di una contraddizione in termini, eppure molti sono ancora convinti di poter costruire una sostenibilità di plastica, senza che nessuno venga a bussare alla porta per chiedergliene conto. La notizia è che nessuno verrà a bussare, quella porta è già spalancata e tutto può uscire da solo. E una volta uscito è impossibile inseguirlo e soprattutto fermarlo.
Articolo pubblicato su Prima Comunicazione