L’intelligenza artificiale sta stringendo rapporti con alcune testate, così facendo però ne assorbe il punto di vista e perde l’imparzialità. Ma con l’editoria il rapporto è complesso e ci sono tre fronti critici da tenere in considerazione.
A settembre 2024 un annuncio è passato un po’ sotto traccia, ma apre un tema su cui è necessaria una riflessione: OpenAI ha chiuso un accordo con il gruppo GEDI, che quindi include La Repubblica e La Stampa. Perché è così importante questa notizia? Per rispondere è necessario comprendere come funziona ChatGPT, prodiga creatura di OpenAI.
È un Large Language Model (LLM, cerco di evitare gli acronimi ma questo per i professionisti ormai deve essere di famiglia) e funziona analizzando enormi quantità di testo per “imparare” modelli e relazioni tra parole, frasi e concetti. Non comprende quindi davvero il linguaggio come un essere umano, ma è addestrato a prevedere la parola o la frase successiva in una conversazione basandosi su ciò che ha già visto. È un sistema di previsione probabilistica.
Immaginate di leggere migliaia di libri e documenti: iniziate a notare schemi su come le frasi sono costruite e quali parole tendono a seguire altre. Allo stesso modo, un LLM usa questi schemi per generare risposte che “suonano” corrette o pertinenti, anche se non ha una vera comprensione del significato. Ed è esattamente qui che si cela il punto chiave: queste relazioni tra i termini contengono ben di più delle semplici parole, contengono la forma mentale, il pensiero di chi le ha scritte.
Supponiamo di avere dei testi che parlano di Putin. Se, in questi, viene associato più frequentemente il termine leader o carisma piuttosto che aggressore o guerra la mia macchina AI imparerà che i termini più corretti da correlare sono i primi. Nel testo, in modo profondo, è quindi connesso un punto di vista. Ed eccoci al tema nodale: l’accordo con GEDI consentirà a OpenAI di apprendere da tutti i loro articoli di La Repubblica e La Stampa ma di fatto condizionandone la visione, soprattutto sui temi prettamente italiani.
Da un certo punto di vista, quello della propagazione delle idee e dell’influenza, questa è una mossa molto efficace e che praticamente spiazza tutti. L’intelligenza artificiale si avvia ad avere sempre più una funzione di oracolo e il fatto che non possa essere imparziale dalle sue fondamenta apre una tematica enorme. OpenAI e i suoi fratelli lo sanno benissimo e stanno costruendo delle sovrastrutture per evitare le questioni pericolose. Ma questi purtroppo sono solo artifici. Francamente non so se questo problema di fondo sia completamente superabile, se ci pensiamo bene ad esempio tra occidente ed oriente non siamo nemmeno d’accordo su cosa sia un animale domestico e uno da cucinare (a Springfield poi sembra mangino gatti e cani).
Certamente è un rapporto complesso quello tra intelligenza artificiale ed editoria, da quando l’AI generativa è diventata di pubblico dominio, ovvero da quando OpenAI ha aperto le porte del suo ChatGPT a tutti, nel 2023, è stato chiaro fin da subito che il settore che avrebbe dovuto fare i conti nell’immediato con questa rivoluzione fosse proprio quello dell’editoria. Su tre fronti principali, il primo è la categoria dei giornalisti, il loro lavoro è messo a serio rischio da questi sistemi, creando enormi e, per una gran parte, giustificate preoccupazioni. Questo chiaramente non significa che il giornalismo sparirà domani, significa piuttosto che molti articoli, soprattutto compilativi, progressivamente verranno realizzati tramite AI con una contrazione progressiva di mercato di alcuni punti percentuali a volta. Ma nei mercati una contrazione genera effetti sistemici. La categoria dovrà integrarsi e saper interagire con l’AI, chi non sarà in grado di farlo sarà tra i primi ad essere messo da parte. La professione deve necessariamente evolversi in modo molto rapido. C’è da mettersi a studiare e subito.
L’altro fronte è il diritto d’autore, come abbiamo spiegato, questi sistemi si fondano sulla rappresentazione del linguaggio e hanno quindi bisogno di testo “nobile”. In un forum sul calcio probabilmente imparerebbero sì e no una ventina di parole e un centinaio di epiteti. Ecco quindi che le testate giornalistiche assieme a Wikipedia diventano sorgenti prioritarie. Ma tutto questo è avvenuto in silenzio senza chiedere permessi e autorizzazioni. Nel momento in cui l’efficacia di fronte al mondo è diventata lampante e i miliardi di dollari hanno cominciato a fluire con facilità ecco che le grandi testate, in crisi da anni, hanno compreso di avere una miniera d’oro (e il dato è il nuovo oro) che non avevano immaginato.
Di fronte a questo confronto obbligato per il mercato editoriale, sono state imboccate due strade, diametralmente opposte. Il tempio del giornalismo mondiale, il New York Times, ha scelto quella della battaglia corpo a corpo. A fine 2023, tra Natale e Capodanno, la testata statunitense ha fatto recapitare un bel regalo sotto l’albero di OpenAI e Microsoft, citandoli in giudizio per violazione del copyright, sostenendo che le società avessero utilizzato illegalmente migliaia di articoli della testata per addestrare ChatGPT, con l’intento di diventare un competitor nel mercato nell’informazione, quest’ultima parte oggettivamente tirata per i capelli (ad oggi). Da quel giorno si è aperta una battaglia legale senza esclusione di colpi, anche da parte di OpenAI che ha prontamente accusato il quotidiano di manipolare i prompt (ovvero le istruzioni testuali per generare le risposte di ChatGPT) per dimostrare un plagio inesistente. La cavalcata del New York Times per difendere il giornalismo, la libertà di informazione e, certo non per ultimo, il conto economico della testata, non sembra però aver trascinato con sé un nutrito esercito.
Molti editori infatti hanno scelto, forse più saggiamente, la strada opposta, ovvero quella di combattere insieme al potenziale nemico. Nell’ultimo anno sono tanti gli accordi tra le aziende produttrici di AI e i gruppi editoriali a livello internazionale. Il primo, ad aprile 2024, è stato il Financial Times che ha prodotto un suo chatbot basato su Claude, l’AI di Anthropic, e ha siglato un accordo con OpenAI per concedere in licenza i suoi contenuti e sviluppare strumenti di intelligenza artificiale. Lo hanno seguito a ruota il TIME, la CNN che ha licenziato il 3% dei suoi dipendenti per sostituirli con l’AI (vedi punto precedente), l’Atlantic, testata americana contestata duramente dai suoi dipendenti per l’accordo con la società di Sam Altman, l’intero Gruppo Condé Nast e le sue 37 testate in 26 lingue presenti in 32 Paesi del mondo tra cui Cina, Francia, Germania, India. E molte altre testate come Hearst, Springer, News Corp, e Vox, hanno poi siglato accordi con OpenAI.
Il terzo fronte è allo stesso tempo il più di lungo periodo e il più pericoloso, la sostituzione. Nel momento in cui nasceranno dei servizi, chiamiamoli agenti (come Alexa in pratica), che colloquieranno con noi e a cui diamo istruzioni, questi ci faranno una sintesi delle notizie o un giornale ex novo profilato sui nostri interessi. Sintetizzeranno tutte le informazioni che acquisiranno dai giornali stessi. La differenza sarà che non avremo più bisogno di andare nel sito della testata né tantomeno comprare il cartaceo. Le conseguenze sarebbero chiare: la testata diventa un flusso dati e non più un luogo da visitare o da sfogliare, quindi si avrebbe una drastica riduzione degli accessi e delle entrate pubblicitarie. La cattiva notizia è che tecnicamente è già possibile. Questo scenario è potenzialmente molto pericoloso e le vie d’uscita non sono molte. Le testate potrebbero essere loro stesse a creare questi agenti, e qualcuno, come abbiamo visto sopra, ci sta già lavorando.
Un’altra possibilità è quella di proteggersi in modo normativo, ma sarà molto complicato mettere d’accordo la gran parte degli editori, anche se la posta in gioco è vitale. Un’altra via è accordarsi con i creatori dell’AI e aprire dei servizi informativi a pagamento ma questo implica ripensare il concetto di testata dalle fondamenta, un po’ il passaggio che c’è stato dalla tv commerciale a Netflix. E comporterà una riduzione dei ricavi.
Questo tema non tocca solo l’editoria ma molte delle attuali forme di interazione. Ciò che in questa fase è certo è che l’editoria e l’AI generativa sono ad ora strettamente collegati e questo rapporto è sia di bisogno che conflittuale. Il tempo purtroppo gioca a favore dell’AI che sta evolvendo a ritmi vertiginosi e per le sue funzioni base ha sempre meno bisogno di terze parti. Per questa ragione per l’editoria è necessario muoversi ora e fare in qualche modo sua l’AI prima che accada il contrario.
Articolo pubblicato questo mese su Prima Comunicazione.