Luigi Mangione, accusato dell’omicidio del CEO di una importante società assicurativa è, in rete, accolto come un eroe. Questo fenomeno è un preoccupante segnale anticipatore di una rabbia inespressa e di una inversione dei valori morali.
La rete è uno specchio dello spirito della società. È solcata da correnti emotive che spesso sono una spia di importanti cambiamenti. I media tradizionali non li riescono a cogliere fino a quando non diventano macroscopici, come un meteorologo che ti annuncia pioggia quando sta già piovendo. Ma anche in rete non è facile cogliere questi segni poiché è una gigantesca pentola in ebollizione dove tutto si mescola.
Proprio in queste settimane sta accadendo qualcosa che a mio avviso è degno di attenzione e riflessione: la beatificazione nei social di Luigi Mangione, arrestato con l’accusa di aver ucciso a Manhattan sulle scale dell’Hilton, a sangue freddo, il CEO del colosso assicurativo United Healthcare, Brian Thompson. Si avete capito bene, colui che uccide non viene visto come un assassino, ma come un eroe.
Nelle strade della più avanzata democrazia, nel simbolo dell’occidente, a New York un omicidio viene acclamato pubblicamente e senza riserve. Questo è un segnale molto preoccupante di una tensione e un malessere profondo che i social stanno cogliendo mentre i media tradizionali sono fermi alla fredda cronaca. Nascono migliaia di immagini a supporto, il profilo X passa in pochi giorni da 30 follower a 300.000. Siamo di fronte ad una inversione dei valori, in cui la morale comune viene riscritta e invertita.
Proviamo ad andare più a fondo sul caso. Subito emerge che Luigi Mangione, l’eroe del popolo, nella realtà proviene da una famiglia ricchissima. Non solo, ha avuto una costosissima formazione nelle migliori scuole che, chi lo acclama, non può neanche sognare. Nell’immaginario popolare emerge un’analogia con Bruce Wayne, che nei popolari fumetti veste i panni di Batman nello scenario di Gotham City, una città corrotta crudele. Ed ecco in rete migliaia di meme che rappresentano Mangione come Batman intento a difendere gli oppressi. L’omicidio in questo pericoloso frame non è più un gesto orribile, ma simbolo di giustizia, ed in quanto tale da celebrare.
Ci sono molti fattori in questo complesso caso, il primo è sicuramente che c’è un grave problema sottostante che è arrivato a livelli di guardia: il sistema sociale americano. La cifra che uno statunitense medio deve sborsare ogni mese per avere assistenza sanitaria si aggira tra i 700 e i 1000 dollari. Se fai il cameriere equivale più o meno al 20% del tuo stipendio. A questo costo la copertura assicurativa non è totale ma soprattutto non è garantita. Persone con malattie rare, bambini, vengono lasciati morire dal sistema sanitario, se non sono in grado di pagarsi un’assicurazione privata oppure, anche se la pagano, molte cose non rientrano nella copertura o si cade in lunghi contenziosi legali. Il sogno dell’Obamacare era cambiare questo sistema, ma ad oggi con la rielezione di Trump, che già nel 2017 aveva cancellato i sussidi governativi alle assicurazioni, torna la paura che queste coperture possano essere di nuovo ulteriormente ridotte. Il sistema sanitario è da sempre un tallone d’Achille, una delle grandi contraddizioni della democrazia USA. Le compagnie assicurative sono letteralmente odiate da tantissimi cittadini che le accusano di speculare sulla salute e sulla sofferenza.
Un altro fattore è sicuramente la teatralità del gesto e i simbolismi, nei proiettili era inciso Deny, Defend, Depose che rappresenta la strategia delle compagnie assicurative. Questo è un aspetto potente nell’era dei social.
Un terzo elemento è la fisicità, in rete l’eroe per essere tale deve averne l’aspetto e generare attrazione, moltissimi post ne evidenziano l’aspetto fisico, la forza, lo sguardo e la postura. Come nel caso del tentato assassinio a Trump è una immagina evocativa che diventa la rappresentazione, di fatto quasi un prodotto pubblicitario. Questo fattore non è trascurabile e oggi nell’era dei social la fascinazione può generare una totale inversione della realtà. Un fenomeno simile aveva già attirato la mia attenzione mesi fa, Wade Wilson condannato a morte per l’uccisione di due donne, ha generato nei social un’onda di meme di ammirazione, soprattutto femminile (e qui siamo al paradosso). La sua fisicità particolare, di corporatura muscolare e con il viso tatuato in modo da assomigliare ad un teschio, con punti di sutura e svastiche. La rappresentazione diventa sostanza.
Ma cosa trasforma un pensiero latente della massa che contrappone poveri e ricchi, buoni e cattivi, in una vera e propria mobilitazione per glorificare un assassino? Nel primo caso siamo nell’ordine di qualcosa di immaginabile, nel secondo entriamo nella sfera dell’incredibile e dell’inquietante. Magliette con il santino di Mangione vendute sugli e-commerce, migliaia di video su TikTok che chiedono #freeluigi, migliaia di dollari raccolti da gente comune per le sue spese legali, manifesti con le facce di altri CEO dichiarati “Wanted” sulle strade di New York. La mamma di un bambino di quattro anni affetto da una malattia rara a cui la United Healthcare ha rifiutato la copertura assicurativa delle sue cure, ha postato su TikTok il video di un balletto dal suo giardino in cui prende in giro il CEO ucciso, dicendo che per lui ha la stessa pietà di quella che la società assicurativa ha avuto per suo figlio.
È dunque in atto un meccanismo più complesso, che trasforma in mobilitazione effettiva, in azione fisica, quello che in altre circostante sarebbe rimasto odio represso. È un innesco per certi versi simile a quello dei terrorismi. Anche le Brigate Rosse in Italia esercitavano questo tipo di fascino facendo leva sulle ingiustizie subite. Così come, nei rispettivi contesti, il terrorismo islamico ha la capacità di far aderire persone comuni alle sue scellerate azioni. La differenza fondamentale è che in questo caso l’innesco avviene ancor prima che il crimine venga rivendicato. Mangione e il suo avvocato Thomas Dickey, anche lui pittoresco personaggio divenuto una star sui social, negano tutte le accuse, nonostante una serie di indizi che appaiono schiaccianti. Paradossalmente invece le persone lo sostengono proprio perché ritengono che abbia compiuto il crimine. Perché lo investono del ruolo di un Batman o di un Robin Hood contemporaneo che deruba, in questo caso uccide, i ricchi per dare ai poveri. Il male che diventa giustizia.
Tutto questo ricorda molto gli anni di piombo italiani, gli elementi riattualizzati ci sono tutti, compresa la teatralità e la fisicità, basti pensare infatti a famosi criminali, già in carcere, uno su tutti Renato Vallanzasca, che venivano sommersi da lettere amorose arrivate dall’esterno e una malcelata ammirazione popolare. Ora il supporto a Mangione appare così concreto che rischia di trasformarsi in emulazione, pare stiano infatti già circolando delle liste di altri CEO minacciati di morte e la polizia stia iniziando a mettere in guardia le aziende coinvolte.
Ciò che sta accadendo, è un segnale molto pericoloso. La società che deifica un assassino è segno di una rabbia che va ben oltre a ciò che appare, allo scontento che abbiamo già classificato. Perché questa rabbia nei social si mescola a un sottobosco invisibile fatto di mille altre emozioni e ramificazioni. Una ricerca importante da eseguire sarebbe studiare come questi contenuti siano correlati ad altri: chi si muove a supporto di Mangione, cos’altro condivide e ha condiviso? Questo metodo metterebbe in relazione fenomeni non sempre correlabili e comprendere meglio cosa abbiamo di fronte. C’è un tema di sicurezza nazionale.
C’è ad esempio il caso di un utente che ha postato solo tre video nel suo profilo: uno sulla libertà delle donne turche, uno a sostegno della campagna per Kamala Harris e l’ultimo proprio a favore di Mangione. Altri account vengono creati ad hoc e non hanno mai pubblicato altri contenuti. Ma tutto questo nel vortice della condivisione non viene percepito, vediamo solo scorrere nel nostro feed un fiume di contenuti, che ci colpisce e ci influenza. Fino a che il meteorologo ci dirà che sta piovendo, ma a quel punto sarà tardi.
Articolo pubblicato questo mese su Prima Comunicazione.