Le Big Tech vivono la loro prima crisi strutturale. Musk si muove con la delicatezza di un elefante, tra licenziamenti di massa, spunta blu a pagamento e riammissione di Trump.
Novembre 2022, prima crisi strutturale dei Big Tech. Meta, ex Facebook, ha annunciato 11 mila licenziamenti, il 13 per cento della sua forza lavoro. Amazon licenzierà 10 mila lavoratori. Twitter da un giorno all’altro ha tagliato via email oltre 3 mila teste, salvo poi richiamarne alcune “licenziate per errore”. Il settore aveva già mostrato segnali di debolezza, soprattutto i social. Ma non erano mai sfociati in decisioni così drastiche. Il mondo si interroga: è uno smottamento temporaneo o siamo davanti ad una crisi sistemica?
Analizziamo le cause, possiamo notare come siano molto diverse tra loro. Meta paga una crisi di identità e di visione, alcune scelte si stanno rivelando sbagliate: un anno fa Zuckerberg annunciava miliardi di dollari di investimenti per il metaverso. Ora, dopo che la business unit dedicata ha bruciato 10 miliardi di dollari in un anno, fa parziale retromarcia. Per inciso questo non vuol dire che il metaverso sia un abbaglio, significa solo che il percorso sarà meno immediato.
Il caso Twitter è differente, probabilmente Elon Musk sta cercando di gestire una situazione dei conti drammatica. I licenziamenti sono un gesto meno impulsivo di quanto possa sembrare, non a caso negli ultimi mesi ha cercato di tirarsi indietro dall’offerta monstre di 44 miliardi di dollari (Più di una manovra italiana). Musk di solito lucido ora sembra cadere in una serie di ingenuità ad esempio ingaggiando un braccio di ferro con i (suoi) dipendenti di Twitter, indicando solo due vie: o impegno estremo o licenziamento. Ed ecco che quasi 1000 dipendenti dei 3000 rimasti dopo la prima scure di tagli hanno scelto di andarsene, in aperta polemica.
Musk è entrato come un rivoluzionario nel mondo dei social, portatore di una idea di totale libertà di espressione. Un’idea affascinante ma solo in teoria. La libertà senza regole è anarchia. Molti brand hanno dichiarato che sospenderanno gli investimenti in pubblicità sulla piattaforma fino a che non saranno chiare (e soddisfacenti) le regole. Non stiamo parlando quindi soltanto di licenziamenti e profitti ma di una crisi dell’identità dei social network. Una cosa per ora è certa: la rivoluzione Musk, che secondo le sue intenzioni avrebbe dovuto migliorare la qualità del discorso pubblico, per ora ha solo innescato il caos.
Un’altra mossa frettolosa spiega bene la serie di ingenuità: la spunta blu. Dall’era di Jack Dorsey le spunte blu hanno un significato preciso: significa che l’account è verificato e che è utilizzato davvero da quel determinato soggetto. Non si ottiene facilmente, bisogna essere personaggi pubblici, politici, media, istituzioni. Il primo passo di Musk è stato stravolgere questa idea, trasformando il certificato di autenticità in un abbonamento. Un boomerang per chi aveva promesso la guerra ai bot.
Ed ecco infatti in pochi giorni sono nati centinaia di account fake con spunta blu. Un finto account dell’ex presidente Usa George Bush ha twittato “Mi manca uccidere iracheni”. Un finto Donald Trump – ma sempre spuntato blu – si è assunto la responsabilità dell’assalto al Congresso. L’anarchia degli utenti e il caos che si sono generati hanno già colpito alcune aziende. Un falso account con il nome @EliLillyandCo ha scritto che avrebbe regalato l’insulina. E il titolo della casa farmaceutica ha perso il 4% in Borsa. Sono cose serie.
Per le aziende consiglio uno stretto monitoraggio dei profili, oggi il terreno è quanto mai incerto. Bisogna ammettere che nelle difficoltà Musk non arretra ma rilancia: ed ecco un sondaggio dal suo profilo per riammettere Trump su Twitter, cancellato per sacrosante ragioni ma tardivamente dopo l’assalto a Capitol Hill. Ed ecco che Trump torna on line anche se per ora si è dichiarato non interessato. Sarà felice Biden.
Pensando di arginare il problema, molti utenti hanno abbandonato Twitter per Mastodon, una piattaforma open source in cui ognuno può modificare il codice sorgente. Parliamo di un insieme di server-social network collegati tra loro ma con diversi proprietari. Ogni server ha poi il proprio codice di condotta, termini di servizio e politiche di moderazione ad hoc. Ancora non ha regole o strategie per evitare utenti non verificati, diffusione di fake news, bot che influenzano il discorso pubblico e così via. Oltre al fatto che, essendo decentralizzata, non ha un responsabile. Dalla padella alla brace.
Da anni i social ripetono di non avere responsabilità sui contenuti postati dagli utenti. L’attacco a Capitol Hill sembrava aver incrinato definitivamente questa narrazione. Ora con Musk si tenta il colpo di spugna. I tempi però oggi sono più maturi, credo che una pioggia di azioni legali sulla responsabilità effettiva del canale sui contenuti riporterà l’utopia sulla Terra. O nel suo caso su Marte.
Il mio articolo su Prima Comunicazione: