Salute, geopolitica, clima, economia, democrazia e energia, il 2022 conferma una avanzata inarrestabile della disinformazione su questi temi. Tutte le soluzioni messe in atto si sono rivelate velleitarie.
L’abbiamo vista avanzare negli anni, silenziosa, inizialmente di nicchia, fuori dai radar delle istituzioni. Largamente sottovalutata. Il caso Stamina forse il primo ad emergere in modo chiaro e doloroso. Più sottile l’azione nelle campagne per abbandonare l’euro. La disinformazione, le fake news se vogliamo dirlo in modo popolare, non sono più oggi un fenomeno confinato ad un solo campo. Sono pervasive. E ritengo sia una delle sfide più grandi che i sistemi democratici devono affrontare.
Non uso il futuro perché la sfida è già qui. C’è un quesito chiave quando si parla di contenuti online e disinformazione: dove nasce, cresce e muta la nostra percezione del vero e del falso? Può sembrare una questione astratta, ma riuscire a capire i meccanismi e le dinamiche di questo spazio può fare la differenza per arginare il problema. Questa ‘modulazione’ del vero e del falso avviene nello spazio digitale, chiamiamolo Data Space. Possiamo definirlo come lo spazio di dati, contenuti, conversazioni a cui siamo quotidianamente e costantemente esposti, che sia tramite un pc, uno smartphone o la tv. A differenza della carta stampata e del media televisivo tradizionale un contenuto on line resta per sempre. Per sempre. Quindi tutto continua ad esistere con il concetto di tempo che diventa quasi irrilevante. Tutto coesiste nello stesso momento. Ora se facessimo ricerche potremmo trovare Schettino che abbandona la nave, tutto quello che riguarda il processo o la demolizione della nave. Tutto esiste nello stesso momento perché tutto è reperibile ed attualizzabile. In questo spazio c’è il tessuto perfetto per la disinformazione. Tutto entra quasi nulla esce. Tutti possono contribuire.
È chiaro che cambiano i paradigmi alla base della comunicazione. Ci sono i progressi della campagna vaccinale e i casi avversi, i commenti dei NoVax e quelli degli esperti – spesso in contraddizione tra loro e con loro stessi nel tempo, le posizioni della politica e quelle della scienza. Ogni dato contribuisce a creare infodemia e a condizionare fortemente la formazione della nostra percezione degli eventi. Orientarsi in questo spazio senza una bussola e senza solide basi diventa operazione ardua. I Social Network in questo sistema agiscono da mediatore, ma non sono neutri, tutt’altro, i loro algoritmi selezionano per noi i contenuti con criterio sia di vicinanza che di scontro. Tradotto un novax vedrà molti contenuti NoVax che rafforzano la sua idea e allo stesso tempo messo a confronto con molti provax generando uno scontro, un tifo, una polarizzazione che consolida ancora di più le sue posizioni. Rafforzamento delle proprie idee e conflitto. Questo i social network non lo fanno per oscure ideologie ma semplicemente perché massimizza il tempo sulle piattaforme e quindi il ritorno pubblicitario. E la disinformazione invade ogni campo. Sono sei i fronti più delicati.
Il primo è proprio quello della salute. Nei periodi acuti della pandemia più di 30 mila conversazioni online al mese su NoVax e No Green Pass. Parliamo di fonti aperte, quindi esclusa tutta la messaggistica istantanea privata. E siamo a quasi tre anni dall’inizio della pandemia che ha causato milioni di morti nel mondo. Negli ultimi due anni abbiamo inoltre rilevato oltre 1,2 milioni di utenti con posizioni contrarie al vaccino. È bastato scendere più in profondità per rintracciare due account Twitter con oltre 2 milioni di tweet all’attivo in nove anni di attività: una media di oltre 600 tweet al giorno. Un record disumano. E infatti sono bot. Non solo: questi account, che si presentano con la bandiera italiana nel nickname, condividono gli stessi link nelle stesse ore del giorno, contribuiscono ad inquinare il dibattito con contenuti ad alto rischio disinformazione sul Covid-19, sulla guerra in Ucraina e sull’aumento dei costi dell’energia. In questo contesto, la decisione di Twitter e del suo nuovo CEO Elon Musk di sospendere la moderazione delle news rischia di essere un boomerang non indifferente.
Secondo tema caldo: la geopolitica e la guerra Russo Ucraina. Ad aprile, proprio da queste colonne parlavamo di ‘nuovo arsenale della comunicazione’. Putin da una parte, impegnato a coprire, agli occhi dei suoi concittadini, i costi e le vittime di un’aggressione violenta quanto lucida. Zelensky dall’altra, impegnato in un’opera di mobilitazione interna ed esterna con pochi precedenti nella storia. I social come arma di propaganda. E infatti in questi giorni, il Financial Times lo ha nominato Person of the year, definendolo “un Churchill per l’era dei social media”. La guerra che si protrae da febbraio ci mette quindi davanti alle diverse forme che le fake news possono assumere. Della fabbrica dei troll per orientare il discorso pubblico si è già detto. La disinformazione può avere anche origine governativa: in questi mesi sono entrate in gioco anche le ambasciate. Hanno tentato di orientare la percezione tramite i propri account Twitter, diffondendo anche fake news create ad arte. Persino i videogiochi possono contribuire a diffondere false informazioni. Pensiamo ad esempio alla ricostruzione del bunker di Mariupol circolato su tutte le televisioni italiane ad aprile: si è poi scoperto che si trattava dei sotterranei di un gioco da tavolo. In queste settimane sta succedendo lo stesso. Clip del videogame ArmA III vengono spacciate per video provenienti dal campo di battaglia: si diffondono video che celebrano gesta eroiche mai avvenute, con l’obiettivo di orientare la percezione sulla guerra. E, probabilmente, anche l’umore dei soldati.
Terzo tema, l’ambiente. Questa estate abbiamo assistito a una delle proteste più ridicole degli ultimi anni. La ‘campagna’ #rubinettiaperti nata su Twitter per contrastare la narrazione scientifica sulla siccità. Utenti hanno messo in dubbio ogni evidenza scientifica sul clima e sulla siccità che colpiva il nostro Pianeta. Il loro gesto di protesta? Lasciare il rubinetto aperto e vantarsene sui social. Ora i NoSic sembrano scomparsi, ma non è così. In queste settimane, gli hashtag negazionisti sul cambiamento climatico hanno di fatto sovrastato quelli ambientalisti. Procedono a ondate. Vanno, appunto, dove tirano il vento e gli hashtag (della disinformazione).
Quarto tema l’economia. Da principio erano i NoEuro, per un ritorno alla Lira vagheggiando che bastasse stampare la moneta necessaria per ogni cosa, anche per fare il ponte su Messina. Stampando di più potevamo collegare la Sardegna. Chiaramente uno studente al primo anno di economia poteva sfatare queste superstizioni. E ora come non notare i NoPos? Curiosi utenti della Rete che manifestano contro le carte di credito e le banche, in favore del contante. Un commento che mi ha colpito in particolar modo. “Non uso il Pos perché non voglio che le banche si arricchiscono senza fare nulla”. Congiuntivo a parte, dimostra una profonda ignoranza (non conoscenza) del tema. Sottintende il fatto che una transazione in moneta digitale sia priva di costi. Non la vedo, quindi è gratis, quindi perché dovrei pagare la banca per questo servizio? Penso che il problema alla base del nostro mondo stia proprio qui. La nostra società evolve a una velocità disarmante: riuscire a mantenere il ritmo esige grandi sforzi cognitivi. Serve studiare per tutta la vita. Una fascia ampia e crescente della popolazione non riesce a tenere il passo intellettivo. Ed emerge il rifiuto. Il no ottuso.
Quinto fronte, i processi democratici. Non esiste una linea demarcazione netta tra vero e falso. Quando parliamo di fake news abbiamo a che fare con una modulazione della verità, passando per diversi gradi. Dalla disinformazione che fa leva sull’emotività e l’ignoranza, alla falsificazione attraverso sofisticate tecniche di intelligenza artificiale per manipolare i contenuti e farli apparire come veri. I fronti citati poco sopra – pandemia, guerra, clima, economia – non sono contenitori stagni a sé stanti. Si permeano tra di loro, sono composti da varie stratificazioni, si fanno forza l’un l’altro. Nella società di oggi le fake news rappresentano un sofisticato hacking della democrazia.
Il sesto scenario, l’energia. Prima i noTap che si opponevano al gasdotto (oggi fanno quasi sorridere). Poi contro l’elettrificazione. Ora sta montando un’onda di disinformazione NoNucleare. Questa sarà la prossima battaglia.
Emerge uno scenario estremamente complesso e frazionato. Credo che uno dei grandi errori sia stato cercare un approccio unico a tematiche così diverse, soprattutto per importanza e impatto. Servono approcci verticali, con competenze specifiche che sappiamo discernere i reali pericoli. È necessaria una tecnologia di analisi che sappia identificare tracciare e mappare la disinformazione. Questo è il primo passo. Avere una mappa chiara. Distinguere tra disinformazione spontanea e stimolata. Agire di conseguenza in modo diverso. Abbiamo sviluppato una tecnologia, lavorando per il Ministero Della Salute, in grado di captare la forma cangiante della disinformazione. Nei casi gravi, giudicati tali da una commissione titolata, si deve agire a mio avviso con il disinnescare il falso, con la rimozione dei contenuti dannosi e degli account che hanno specifica e provata attività di disinformazione. Quello che dovrebbero fare i social network ma che raramente fanno per un ovvio conflitto di interesse. Il Fact Checking che finisce nei siti istituzionali o nei giornali non cambia di una virgola le migliaia di conversazioni che avvengono in ogni momento nei social media. È arrivato il momento di affrontare con serietà e rigore il problema, la disinformazione avanza e ci sta circondando.