Da gennaio 2024 le grandi imprese dell’Unione Europea saranno obbligate a rendere pubblici i dati sul loro impatto sull’ambiente, sulle persone, sul pianeta e sui rischi di sostenibilità a cui sono esposte. La sostenibilità, che finora è stata imbracciata da tanti come un mantra di comunicazione, sarà oggetto di rendicontazione nei bilanci. Un passaggio che cambia decisamente la partita e rende i temi esg, già estremamente sensibili, oggetto di valutazione stringente e dunque critici. In questi anni abbiamo assistito a molte crisi dei brand relativi proprio a questi aspetti, pensiamo a tutte le lesività nei comparti lavorativi delle multinazionali, al diesel gate, al me too che recentemente è arrivato anche in Italia con il caso We are social e la bufera che ha investito le agenzie pubblicitarie.
Che peso ha la sostenibilità sulla reputazione del brand? Nel nostro ESG Perception Index, l’osservatorio permanente sulla percezione di sostenibilità delle aziende, dove monitoriamo più di 200 imprese, nel semestre ottobre 22-aprile 23 abbiamo rilevato 2 milioni di contenuti online in crescita del 25% rispetto al semestre precedente e la base dati totale rilevata da gennaio 2021 è di 7,2 milioni. Una massa importantissima. Ma se guardiamo all’indice di percezione si registra invece un’importante flessione del 69% tra ottobre e aprile rispetto al semestre precedente. Significa che c’è stato un incremento di negatività sui temi esg. Un campanello d’allarme, che solo attraverso un monitoraggio costante è possibile rilevare tempestivamente.
I temi ESG sono da sempre terreno scivoloso, ma è importante capire quanto una crisi in questo ambito impatti sul brand, con quale intensità, diramazioni e per quanto tempo. Risposte che solo un’analisi strutturata può dare.
È necessario quindi fare un passo indietro, definire con precisione cosa sia una crisi e approcciare la sua comprensione in modo scientifico.
Si è scritto molto sulla crisi. Ho sempre trovato i vari manuali o molto qualitativi e incentrati su esempi particolari o molto operativi sui passi da fare e come organizzarsi. Avevo la sensazione che mi restituissero il racconto di un catalogo di esperienze, in alcuni casi di terza mano, ma non una visione sistemica. Mi raccontavo come sempre che è normale che un ingegnere che lavori in comunicazione abbia questo sottofondo di inquietudine di fronte ai fenomeni non quantificabili, non strutturabili con regole definite. “Passerà” mi ripetevo. Eppure non accadeva, quindi, partecipando alla gestione di alcune delle più importanti crisi degli ultimi anni, abbiamo studiato un differente approccio che partisse da una definizione diversa della crisi, una definizione più scientifica con il chiaro fine di arrivare ad un metodo basato sui dati che si possa esprimere attraverso indicatori.
Andiamo per ordine. Come si misura una crisi? Sembra una domanda semplice ma inopportuna. Troppo spesso ci si riferisce al termine “crisi” in modo generico, raccogliendo sotto questo cappello ogni evento che possa incidere in modo dannoso su un’azienda: dalle crisi di immagine alle crisi di produzione, passando per ciò che riguarda il management o i dipendenti. Il naufragio della Costa Concordia, lo spot D&G per il mercato cinese, gli scioperi in Italia contro Amazon: eventi con caratteristiche differenti devono essere trattati in modo differente. Altrimenti non si spiega perché abbiano impatti così diversi. La crisi non è un monolite, è un qualcosa di multidimensionale e soprattutto mutevole nel tempo e nel contesto. Se fosse quindi una funzione matematica dovrebbe incorporare anche un fattore culturale e temporale. La prima questione da affrontare è quali sono le dimensioni costituenti una crisi? Il concetto è lo stesso della tavola periodica degli elementi in chimica, tutti una volta o l’altra l’hanno vista o studiata. Ogni elemento attorno a noi è composto da una combinazione di quegli elementi. Senza eccezione. Questo passaggio concettuale che potrebbe sembrare semplice ha rivoluzionato per sempre la visione del mondo attorno a noi e la capacità di modificarlo.
Le 11 dimensioni della crisi
Abbiamo identificato 11 dimensioni di base (e relative sottocategorie): brand, mercato, aspetto finanziario, environment, sociale, governance, asset, politica, intersezione giudiziaria, stakeholder e contesto. È questa la tavola periodica che permette di scomporre la crisi in ogni suo atomo, lo strumento per analizzare ogni dettaglio e il diverso peso che questo ha. Ogni valore varia da 1 a 100. Questi parametri definiscono così una forma caratteristica della crisi. Questo fatto ha conseguenze importanti perché anzitutto a forme diverse corrispondono differenti impatti e soprattutto permette di studiare la relazione tra forma ed evoluzione della stessa. Una cosa che si evidenzia subito è che più una crisi è importante più si manifesta in più dimensioni come un effetto domino, creando delle forme molto estese. Al contrario una crisi che invece si sviluppa in minori dimensioni è di impatto minore, se addirittura in una sola dimensione possiamo parlare di focalizzazione.
Nel corso degli anni, abbiamo studiato molte grandi crisi. Ad esempio, il naufragio della Costa Concordia (intensità 8.68) è un caso senza precedenti che ha coinvolto diverse dimensioni: forti sono le intersezioni con nell’ambito giudiziario, così come molto rilevanti i danni ambientali, il tema sociale per la presenza di vittime, le ripercussioni sugli asset. Lo scandalo Dieselgate (8.42), invece, ha avuto le sue principali direttrici di crisi nella dimensione politica, in quella ambientale e in quella giudiziaria. Lo spot di Dolce&Gabbana (6.71)che nel 2018 ha creato un incidente diplomatico con la Cina, per i contenuti giudicati razzisti e sessisti – ricordiamo nello spot una ragazza (modella coreana spacciata per cinese!) che tentava di mangiare maldestramente gli spaghetti con i commenti di una voce fuori campo al limite dell’equivoco sessuale – è stata una delle più grandi crisi di comunicazione, con l’impatto maggiore sulla dimensione degli Asset e sulla governance per il diretto coinvolgimento degli stilisti. Un’altra crisi mediatica è quella che ha coinvolto Elisabetta Franchi (4.48). Le parole della stilista sui “giri di boa” che una donna deve compiere prima di lavorare con lei hanno generato numerose reazioni negative, legate alla dimensione “governance”, proprio per il diretto coinvolgimento dell’imprenditrice, e la dimensione “sociale” per i temi al centro del dibattito. Sulla stessa lunghezza d’onda la scivolata di Pandora (4.69) che per la campagna natalizia 2017 aveva messo nelle metropolitane milanesi un cartellone che recitava così “Un ferro da stiro, un pigiama, un grembiule, un bracciale Pandora. Secondo te cosa la farebbe felice?”, un concentrato di stereotipi sessisti che aveva fatto infuriare il web raccogliendo l’85% di commenti negativi e l’ironia di altri brand che avevano cavalcato l’onda creando meme sui loro profili social, amplificando ulteriormente l’impatto. C’è poi l’annoso capitolo del maltrattamento di animali in ambito industriale, che recentemente ha visto il brand marchigiano Fileni (4.46) oggetto di un’inchiesta di Report per le condizioni di vita dei polli negli stabilimenti, che ha impattato principalmente la dimensione impatto ambientale e sociale, ma anche il brand e gli stakeholder.
Come è evidente già da questi esempi il tema della sostenibilità tocca spesso diverse dimensioni della crisi e ha impatti rilevanti su queste: il video di scuse nei confronti del popolo cinese che Stefano Dolce e Domenico Gabbana sono stati obbligati a diffondere dopo il caso è un chiaro esempio di quanto una crisi in ambito sostenibilità possa arrivare a impattare la governance di un’azienda e addirittura come in questo caso a livello sistemico la reputazione dell’Italia in Cina.
La crisi non è un sistema isolato
Una delle prime lezioni imparate analizzando i dati è che alcune crisi molto simili hanno generato risultati molto differenti. Ne deriva che la crisi non è un sistema isolato, tradotto non si può studiare la crisi in laboratorio senza considerarla in un sistema reattivo complesso come è la società moderna. È un elemento mediatico immerso in un pentolone di elementi mediatici in ebollizione. Lo stesso evento in momenti diversi può generare esiti diversi in evoluzione, forma e intensità. Cambia nel tempo la sensibilità a determinati temi: ad esempio nel pieno del #metoo, movimento partito dal caso Weinstein, qualsiasi vicenda sul filone aveva un’amplificazione importante e allo stesso tempo monopolizzando lo spazio mediatico riduceva le probabilità di esposizione di qualsiasi altra crisi. A distanza di anni ci troviamo ad affrontare un “me too” italiano, milanese per il momento, che nel momento in cui scrivo è proprio all’inizio della sua esplosione. Sarà interessante, dal punto di vista analitico, vedere quanto questo impatterà a livello più ampio, quindi sul settore della pubblicità, ma anche su altri settori (già è iniziato sui social il tam tam per dire che di polvere sotto il tappeto ce n’è anche in altri settori) e sulla reputazione del mercato del lavoro in Italia, che già non brilla.
Come si possono integrare analiticamente questi scenari così complessi? È possibile misurare tutti questi fattori ma direi che nel complesso è molto oneroso, richiede molte risorse, tecnologia e competenze molto specialistiche. C’è una via molto più semplice e per certi versi ancora più precisa. Le prime ore di una crisi (fase esplosiva) sono molto significative e incorporano negli effetti tutti i fattori di cui sopra. Questo consente di tornare al modello “isolato” a patto di configurarlo sulla base dei dati che si rilevano nelle prime ore. Riduce nettamente i costi ma richiede una prontezza di intervento e di dispiegamento. Ancora una volta è chiaro che è necessario essere preparati e tutti i processi devono essere già definiti.
Evoluzione e intensità della crisi
Come studiare, quindi, l’andamento di una crisi? Proviamo a rappresentare le 11 dimensioni del nostro modello mediante una sola linea che evolva nel tempo dal giorno di crisi zero in poi. Questa è data dalla somma dei contributi delle singole dimensioni.
Una qualsiasi crisi può essere decomposta in quattro fasi fondamentali:
- Fase Espansiva (Esplosiva se intensità oraria supera una certa soglia Se)
- Fase di Decadimento
- Fase Evolutiva
- Coda lunga
La rappresentazione parte dal momento zero in cui emerge la crisi. Questa ha una Fase Espansiva fino ad un picco di crisi che possiamo definire primo picco P0. La fase espansiva è misurabile attraverso una intensità oraria. Se l’intensità oraria è superiore ad una certa soglia Se si parla di Fase Esplosiva. Se la fase espansiva è di bassa entità la forma finale sarà relativamente contenuta. Nel picco P0 avviene la prima inversione e l’intensità comincia a ridursi. Si entra così nella Fase di Decadimento. Si scende e l’interesse si riduce. Entriamo poi nella Fase Evolutiva. Questa si differenzia molto in funzione della forma della crisi che abbiamo identificato. Dimensioni come Giudiziaria e Governance creano onde mediatiche di ritorno di importanza significativa che ancora una volta possono aggravare il contesto generale e ancora una volta rialzare l’intensità, si pensi anche solo agli strascichi dei processi. In questa fase la curva incontra il punto P2 l’intensità zero. Toccare l’intensità zero non significa che tutto è finito. La crisi nel mondo digitale resta a tempo indefinito e quindi vi è nella migliore delle ipotesi un oscillare attorno il punto zero con occasionali richiami. Nella migliore delle ipotesi. In sintesi quindi la fase evolutiva dipende in modo netto dalla forma della crisi e può avere sviluppi molto diversi. Si entra nella coda lunga della crisi. Questa fase è caratterizzata da segnali oscillatori di intensità variabile ma durata limitata e occasionale. Resta un rischio latente proprio perché tutto è sotto la superficie di calma apparente.
Una delle conseguenze dell’approccio descritto è che si può associare un valore numerico alla crisi. Necessario per qualsiasi approccio strutturato. Un problema che abbiamo dovuto affrontare negli studi condotti è che le energie in gioco nell’era dei social sono enormi e una piccola crisi è decine di migliaia di volte inferiore rispetto ad una apicale. Come mettere assieme impatti così diversi? La fisica e i terremoti ci hanno dato la chiave. In natura ci sono fenomeni che si differenziano per decine di migliaia di volte in intensità e sono proprio i terremoti. La scala Richter usata per i terremoti non è lineare come molti pensano ma tra un grado 4 e un grado 5 l’intensità è 31 volte superiore. Tra un 4 e un 6 è circa 1000 volte. Non voglio appesantire la già non facile trattazione ma, adattando il concetto, otteniamo una scala da 1 a 10 per la crisi in cui la differenza di alcuni gradi di crisi è in realtà enorme dal punto di vista delle energie mediatiche scatenate.
Prevedere l’evoluzione
Per i pochi che hanno avuto la tenacia di arrivare a questo punto anticipo un concetto molto affascinante che è conseguenza diretta di questo approccio analitico. Scomporre una possibile crisi in 11 dimensioni apre la strada a considerare non semplicemente 11 valori ma 11 segnali che evolvono nel tempo. Ogni dimensione ha un suo segnale che evolve nel tempo. Questo è un passaggio fondamentale. L’evoluzione della crisi può essere dedotta dalla somma dei segnali di ogni singola dimensione e quindi derivata dai due fattori principali che sono la forma e l’intensità iniziale registrata.
Il concetto di crisi passa dall’essere una entità qualitativa a una analisi dei segnali, tutto ciò porta la materia in un terreno del tutto nuovo e rompe le barriere che la dividono dalla fisica e dall’analisi matematica in una contaminazione sempre più fondamentale.
Articolo pubblicato su Prima Comunicazione (clicca sull’immagine per l’articolo completo):